Il termine alessitimia «mancanza di parole per esprimere le emozioni» fu coniato nel 1970 da John Nemiah e Peter Sifneos per circoscrivere un insieme di caratteristiche della personalità evidenziate in pazienti psicosomatici. Il nome venne diffuso per la prima volta nel 1976 alla XI Conferenza Europea sulle Ricerche Psicosomatiche.
Per spiegare le origini delle emozioni si può partire dall’affermazione che “ogni persona funziona come una totalità”: lo sviluppo affettivo e quello emotivo sono inscindibili e si intersecano con lo sviluppo sociale e cognitivo. Le emozioni sono risposte adattive a situazioni ed eventi che coinvolgono processi neuropsicologici, psicofisiologici, cognitivi e di controllo del comportamento.
Sulle emozioni abbiamo diverse teorie che cercano di chiarire la matrice e la manifestazione espressiva. Le basi sono da ricercare in Darwin che sviluppò la sua ‘teoria delle emozioni’, constatando che le stesse sono essenziali per la sopravvivenza e l’adattamento dell’individuo nell’ambiente. Studiando le caratteristiche espressive dell’emozioni, Darwin arrivò alla conclusione che le espressioni emozionali sono innate e prodotte dall’evoluzione.
Chi soffre di questo disturbo sperimenta una carenza di attività simbolica a livello cosciente, una povertà di fantasia, una incapacità di usare il linguaggio per esprimere le emozioni. Vi è, inoltre, una tendenza ad agire in maniera impulsiva e ad avere una insufficienza di simbolizzazione onirica.
Gli alessitimici sono maggiormente concentrati su ciò che accade all’esterno, descrivendo le proprie esperienze o i vissuti emozionali senza alcun investimento affettivo, come se fossero spettatori più che attori della propria vita. Si focalizzano sui dettagli senza dare la sensazione a chi li osserva, di parteciparvi emotivamente, mostrando una scarsa capacità di sintonizzarsi con le emozioni altrui: non riescono ad identificare e comunicare in modo articolato le proprie emozioni, limitandosi a definirle con una terminologia generica come ad esempio ‘triste’, o ‘nervoso’, oppure ‘arrabbiato’.
Il paziente psicosomatico è carente di sogni, ha un pensiero pragmatico rivolto esclusivamente al presente e alla realtà concreta, senza rapporti con fantasie inconsce. In questo casi il disagio, più che un nemico da battere, è la spia di un qualcosa che va compreso e che investe anche il contesto in cui l’individuo vive.
“Se riesci a sentire le tue emozioni, non sei lontano dal corpo interiore radioso che sta sotto. Se invece resti prevalentemente nella tua testa, la distanza è di gran lunga maggiore, e hai bisogno di portare consapevolezza nel corpo emotivo prima di poter raggiungere il corpo interiore.”
Eckhart Tolle