Con il termine “angeli della morte” si fa riferimento a medici, infermieri o chiunque altro uccida nell’ambito di ospedali, RSA e, in genere, nel settore caregiving. Questo tipo di serial killer è più diffuso di quanto si possa pensare, ma cosa li spinge a compiere questi delitti?
Angeli della morte: quando a uccidere è chi dovrebbe curare
Se ne parla poco, eppure gli “angeli della morte” colpiscono senza pietà vittime in un momento di evidente debolezza.
Fra i casi italiani più noti: il medico Leonardo Cazzaniga, il becchino Antonio Busnelli, il satanista Alfonso de Martino, gli infermieri Angelo Stazzi e Sonya Caleffi. Mentre a livello internazionale ci sono stati Harold Shipman, il medico britannico che uccideva i suoi pazienti con l’eroina, Christina Aistrup Hansen, l’infermiera serial killer la cui storia ha ispirato la serie Netflix “The Nurse” e l’ostetrica Miyuki Ishikawa, solo per citarne alcuni.
Sono a tutti gli effetti dei serial killer che possono mietere un numero impressionante di vittime. Uccidono iniettando farmaci non necessari e in dosi massicce, o staccando le macchine che tengono in vita un paziente. Spesso però i loro omicidi destano poco interesse e non fanno notizia, forse perché le vittime sono persone anziane, malate e fragili. Vengono fermati solo quando il modo o il numero di decessi risulta essere tale da suscitare sospetti.
Cosa spinge queste persone che in teoria sono chiamate a curare e proteggere chi è in un letto di ospedale, in una RSA o in reparto neonatale ad uccidere. Abbiamo cercato di comprendere la portata di questo fenomeno con Cristina Brondoni, giornalista e criminologa, che nel suo libro “Gli angeli della morte” (Mursia) ha analizzato oltre 40 casi con l’obiettivo di gettare luce su un fenomeno sottovalutato e che troppo spesso sfugge alle maglie della giustizia.
In Italia si è molto parlato del caso di Leonardo Cazzaniga, il medico condannato per aver ucciso dei pazienti nell’ospedale di Saronno, ma anche degli omicidi commessi dagli infermieri-killer Angelo Stazzi e Sonya Caleffi. Sono molti gli “angeli della morte” nel nostro Paese e all’estero?
Il caso di Leonardo Cazzaniga e della sua complice e amante, l’infermiera Laura Taroni, ha in effetti attirato l’attenzione soprattutto per il numero di colleghi che, pur sapendo degli omicidi, hanno taciuto. Un comportamento esecrabile. Anche nel caso di Sonya Caleffi c’era chi era al corrente di quanto stava accadendo, ma ha preferito trasferire l’infermiera Caleffi invece di denunciarla.
In Italia i seriali killer che rientrano nella categoria “angeli della morte” non sono moltissimi, ma sicuramente sono presenti e sono molti di più rispetto ad altri serial killer. Nel resto del mondo gli angeli della morte sono presenti praticamente ovunque (sempre che ci siano statistiche e cronache a parlare di loro). Da quando gli ospedali sono diventati luoghi di ricovero e cura, e non più solo posti in cui terminare le proprie sofferenze terrene, gli angeli della morte si sono affacciati al panorama criminale.
Questi serial killer dicono di uccidere per misericordia verso la vittima allettata, ma quanto c’è di caritatevole nel loro gesto?
Gli angeli della morte spesso vengono definiti anche “angeli della misericordia” perché, quando vengono catturati e subiscono i processi, raccontano di essere stati mossi dalla misericordia nei confronti dei pazienti che hanno ucciso per terminare le loro sofferenze terrene. Nei loro omicidi non c’è nulla di caritatevole né di misericordioso.
Uccidono perché vogliono farlo, uccidono per il potere che traggono dal poter disporre, a loro piacimento, delle vite degli altri. Soprattutto se gli altri sono pazienti impossibilitati a reagire, a difendersi. Il fatto che durante i processi gli angeli della morte adducano come movente la misericordia è un modo per ottenere sconti di pena e per giustificare gli omicidi.
Volendo tracciare un identikit dell’angelo della morte, gli angeli della morte sono più donne o uomini e più medici o infermieri? Esistono dei tratti caratteriali comuni?
Statisticamente, in tutto il mondo (che tiene statistiche), gli omicidi, sia seriali che non, sono commessi per il 90% da uomini e per il restante 10% da donne. Gli angeli della morte escono completamente da questa statistica: il 50% degli omicidi è commesso da donne e l’altra metà da uomini. Le donne, nella quasi totalità dei casi, sono infermiere (o ex infermiere), mentre gli uomini sono sia medici che infermieri. Le donne, di solito, vivono ancora con la famiglia di origine o, anche se più raramente, con un partner. Gli uomini, invece, quasi sempre sono single.
Le donne angeli della morte sono considerate dai colleghi non particolarmente inclini alle relazioni, se non addirittura incapaci di relazionarsi, non troppo brillanti professionalmente ed eccessivamente drammatiche. Gli uomini angeli della morte, invece, nella migliore delle ipotesi sono considerati strani, con atteggiamenti un po’ dubbi, idiosincrasie e comportamenti sopra le righe.
Maschi e femmine angeli della morte hanno però una caratteristica in comune: i loro turni, dai colleghi, vengono (o venivano) definiti “turno della morte”. I pazienti, infatti, quando è di turno l’angelo della morte muoiono con una certa allarmante frequenza che niente ha a che fare con le coincidenze.
Nel libro si entra nel dettaglio anche delle diverse categorie di angeli della morte distinguendoli in base al movente. Quante categorie si possono ipotizzare e quali caratteristiche hanno?
Gli angeli della morte possono essere suddivisi, in base al movente, in tre macrocategorie. Ci sono gli angeli della morte sadici che infliggono sofferenze ai pazienti o che li portano sulla soglia della morte, più volte, con l’intento di guardarli morire. A differenza di altri serial killer, gli angeli della morte non hanno un chiaro ed espresso movente sessuale anche se non è escluso che alcuni di loro provino piacere sessuale a vedere soffrire i pazienti e a ucciderli.
Ci sono poi gli angeli della morte che uccidono per esercitare il loro potere: possono disporre della vita dei pazienti e lo fanno. Abusano della professione per giocare a fare Dio, come faceva Leonardo Cazzaniga che, arrivato in ospedale, decideva chi quel giorno poteva vivere e chi doveva morire. Sono inebriati dal ruolo che hanno e dal fatto di poterlo usare per uccidere.
E infine ci sono quelli che hanno la sindrome dell’eroe: creano un’emergenza, magari iniettando un farmaco non necessario o in dose massiccia a un paziente, per poi dare l’allarme, vedere medici e colleghi accorrere e, in qualche caso, partecipano alla rianimazione dicendo cosa hanno visto e provando a salvare la vita che loro stessi hanno messo in pericolo. Nella maggior parte dei casi i pazienti muoiono. In qualche caso, almeno inizialmente, questo tipo di angelo della morte riceve i complimenti per la tempestività con cui ha agito. Ma dopo le prime due volte il suo comportamento diventa sospetto, ma non è detto che venga denunciato. Sonya Caleffi faceva parte di quest’ultima categoria.
Abbiamo parlato dei tratti distintivi degli angeli della morte, esiste anche un identikit della vittima ideale per questi serial killer?
La vittima ideale è quella che non può difendersi, che non può reagire, che non può parlare, testimoniare, anche nel caso resti viva, quindi pazienti allettati da molto tempo, magari con malattie neurodegenerative, pazienti anziani che, anche se dovessero accusare qualcuno, non verrebbero creduti. Oppure pazienti psichiatrici. E poi bambini, neonati. I casi di infermiere (soprattutto) che uccidono pazienti di pochi mesi o addirittura di pochi giorni sono inclusi nel saggio.
Come mai questi delitti non riscuotono lo stesso interesse di altri omicidi?
Perché le vittime non hanno lo stesso appeal di altre vittime. La vittima di un angelo della morte, spesso, è una persona ottuagenaria, allettata da tempo e, per di più, rinchiusa in una casa di riposo o in un ospedale. Luoghi in cui la morte è attesa. La fine è nota.
Non c’è notizia in un novantaseienne che muore in casa di riposo, a meno che non sia stato un personaggio pubblico. E gli angeli della morte contano sul fatto che loro vittime siano invisibili. E non è per cattiveria dei giornalisti, categoria di cui faccio parte, ma perché davvero è notiziabile ciò che ha un interesse o ha una rilevanza nazionale. Fanno notizia solo quando le morti diventano tante, tantissime.
C’è poi un altro aspetto: gli ospedali sono luoghi di cattività in cui accadono cose che fuori, in società, non si vedono. I parenti stessi delle vittime non hanno nemmeno occasione di conoscersi tra loro e, nella maggior parte dei casi, vengono a sapere che il loro caro è stato ucciso solo perché viene aperta un’indagine. A posteriori. Motivo per cui anche stabilire la colpevolezza dell’angelo della morte non è cosa semplice.
Vale, per chi lavora in ospedale o nell’ambito del caregiving, a qualsiasi titolo, che le coincidenze non esistono: se il turno di un infermiere, di un medico o di un’infermiera viene chiamato “turno della morte” è necessario denunciare.