Angelo Epaminonda, è stato un criminale attivo negli anni Settanta e Ottanta a Milano, capo della costola meneghina del Clan dei Cursoti. Ne abbiamo ripercorso l’ascesa e le vicissitudini.
Il suo nome sotto la Madonnina resta scolpito nella mitologia della ‘mala milanese’ degli anni Settanta: quella delle batterie di rapinatori e sequestratori che si contendevano il dominio sulla metropoli sparandosi di notte sui marciapiedi della circonvallazione.
La Milano di Renato Vallanzasca, tutt’ora in regime cautelare, di Francis Turatello, trucidato 37enne in carcere nel 1981 nel penitenziario sardo del Badu’ e Carros, e di Angelo Epaminonda, il Tebano, per via di quel cognome da condottiero dei libri di storia antica.
Nulla a che spartire con la gloriosa figura del comandante di Tebe che sconfisse gli spartani con la sua falange: il fu Angelo Epaminonda, scomparso nel 2016 dopo trent’anni di anonimato, è stato un gangster delle bische e dell’eroina, un assassino (ne ha confessati una quarantina), un mafioso, prima di diventare un pentito.
Eppure, anche per via di quel cognome, resta un altro di quei criminali resi personaggi immortali nelle cronache come quelli della Magliana.
Di sicuro è stato l’ultimo a dominare a Milano, non un Re come il predecessore Turatello, più forse un comandante, come appunto il suo omonimo greco Epaminonda.
Epaminonda: da biscazziere a boss
La storia di Angelo Epaminonda, classe 1945, è quella poco originale di tanti ragazzi figli del Sud, figlio di emigranti catanesi, cresciuti nell’hinterland milanese nel dopo guerra: un appartamento minuscolo in un casermone popolare, degrado, pochi soldi in famiglia, la prospettiva di dover campare con un lavoro pesante e mal retribuito da operaio o manovale.
Il giovane Epaminonda è un’erba cattiva diversa dalle altre: sogna in grande, sogna la bella vita, le belle donne, aragoste e champagne, il lusso.
Il suo modello è Francis Turatello che a meno di trent’anni si sta prendendo Milano, appropriandosi delle bische e i night, grazie agli appoggi malavitosi giusti nel sostenere la sua scalata verso il potere cittadino.
Il Tebano, classe 1945, ha solo un anno in meno di Faccia d’Angelo e tanti gradini da salire nella scala criminale. Commette qualche rapina, ma non è il suo mestiere quello, poi si dedica allo spaccio nei locali del centro: li incrocia Turatello che lo prende a ben volere.
Il boss di Lambrate si circonda di criminali catanesi, come i fratelli Mirabella, e inserisce nel suo clan anche il catanese Epaminonda, dandogli lavoro nelle sue bische, fino ad affidargli la direzione di una strategica, quella di via Cellini.
L’ascesa al trono e la guerra a Turatello
Il ragazzo è sveglio, ci sa fare, sa usare la testa, sta al suo posto per qualche anno, impara dal maestro, ma scalpita per il grande salto: l’occasione propizia arriva nell’aprile 1977, quando Turatello finisce dietro le sbarre.
Il Re di Milano è dentro, il trono resta vacante, inizia una guerra tra i fedelissimi di Faccia d’Angelo, guidati dal gruppo di fuoco dei fratelli Mirabella, e la nuova fazione emergente di Epaminonda, tutti catanesi: li chiamano i ‘cursoti’ perché nella città etnea provengono quasi tutti dalla zona dell’Antico Corso.
La banda dei cursoti catanesi opera tra Milano e Torino: spaccio di droga, gioco d’azzardo, contrabbando e omicidi come se piovesse.
Lo scontro con i ‘turatelliani’ durerà fino al 1981, con decine di morti: decisivo sarà l’appoggio della mafia siciliana, con la Cupola passata nelle mani dei corleonesi, e della Camorra cutoliana, che puntano sull’astro nascente del Tebano.
Che si prende la scena definitivamente dopo l’omicidio in carcere di Turatello, accoltellato da quattro sicari che gli aprono la pancia durante l’ora d’aria, il 17 agosto 1981, la data che cambia la storia della mala milanese.
Le notti di Milano passano nelle sue mani: night, bische, ristoranti, lo spaccio della cocaina.
Epaminonda frequenta attori, comici, cerca persino sponde con i Socialisti al Governo.
Ma il suo regno è fragile, durerà poco.
Gli Indiani, la banda dei killer drogati
In realtà con la scomparsa di Turatello il sistema delle bische crolla rapidamente e comincia anche il declino di Epaminonda.
Il suo gruppo di fuoco, composto da una dozzina di killer senza regole, cocainomani, pazzi scatenati, autentici cavalli matti chiamati gli Indiani, comincia a sparare all’impazzata, notte e giorno.
I morti si contano a numeri impressionanti: l’apice della scia di sangue in realtà risale al 1979 quando in un’osteria chiamata La Strega, alla periferia sud, in via Moncucco, nei campi appena dietro alla Barona, due killer uccidono otto persone, tra clienti e personale, quando il bersaglio probabilmente era il solo titolare della locanda.
Gli Indiani sparano in strada, sparano troppo, a volte anche senza un motivo, tanto da venire isolati anche dalla criminalità comune che gli fa terra bruciata.
Troppo rumore, troppo sangue, non può durare e infatti non dura.
Le forze dell’ordine milanesi, senza più le Brigate Rosse come primo nemico, possono concentrare tutte le energie e i mezzi sui malavitosi.
Gli Indiani verranno tutti arrestati tra il 1982 e il 1984, intanto il lavoro della magistratura e delle forze dell’ordine porta al sequestro e alla chiusura delle bische gestite da Epaminonda.
Che resiste con lo spaccio di droga e intanto prova a mettere le mani sul Casino’ di Sanremo e su altre sale da gioco in Romagna, dove i suoi uomini commettono nuovi omicidi.
Ma in quegli anni di troppo piombo e sangue perde anche gli appoggi dalla mafia siciliana.
L’arresto nel 1984 e il pentimento
Il cerchio si stringe intorno al Tebano nell’estate del 1984.
Gli Indiani ormai sono tutti dentro, poi tocca al ramo torinese dei cursoti catanesi finire dietro le sbarre: sono loro a rivelare alla Polizia il nascondiglio del 39enne latitante Epaminonda nell’autunno 1984.
Viene arrestato in un appartamento in centro a Milano, si arrende senza fare resistenza, complimentandosi con gli agenti che lo ammanettano.
Diventa subito un collaboratore di giustizia, confessa 17 omicidi ma ne ricostruisce un’altra quarantina, fa i nomi dei complici, contribuendo alla maxi retata del 1985 con 180 arresti che porteranno al maxi processo celebrato tra il 1987 e il 1988, che si concluderà con una valanga di una cinquantina di ergastoli inflitti ai Cursoti e agli Indiani.
La fine della mala milanese e del Tebano
Finisce così la stagione della mala milanese e lo stesso Epaminonda viene condannato a 30 anni, ma ottiene subito la libertà e una nuova identità da collaboratore di giustizia, tornando libero ad appena 43 anni.
Da quel momento sparisce nel nulla.
Non rilascerà mai interviste e negherà per sempre di essere stato il mandante dell’omicidio di Turatello.
Vivrà quasi trent’anni nell’anonimato, lavorando curiosamente ancora nel settore del gioco, nelle sale Bingo, prima della morte per cause naturali a 71 anni, nel 2016 (ma si saprà solo mesi dopo), nell’indifferenza e nel silenzio.
La cronaca nera aveva dimenticato il suo nome già dalla fine degli anni ‘ottanta e l’unico Epaminonda ad essere ricordato, anche a Milano, resta il condottiero tebano che sconfisse gli spartani.