Per esercitare la professione di investigatore privato occorre – come noto – dotarsi di una licenza/autorizzazione prefettizia che viene rilasciata a fronte di requisiti specifici. Per contro essa non concede strumenti operativi nel senso che i detectives italiani non hanno – ad oggi – neppure il tesserino di riconoscimento che spetterebbe loro. Nonostante la “mini-riforma”, attuata nel 2010 (D.M. 269), nulla è cambiato sul fronte dell’accesso a “banche-dati” che sarebbero fondamentali per reperire informazioni di enorme importanza senza le quali compiere qualsiasi indagine, in ambito civile o penale, risulta faticoso e al limite della legalità. Ciò stabilito viene legittimamente da interrogarsi sull’utilità di una licenza che – in realtà – comporta solamente vincoli e oneri a carico dell’investigatore privato.
Il governo all’inizio di quest’anno ha compiuto delle liberalizzazioni (DDL concorrenza) ma le professioni regolamentate e/o intellettuali sono una galassia che in Italia conta 2,5 milioni di lavoratori autonomi, oltre due milioni di iscritti agli Ordini/Albi, un indotto di circa 200 mila dipendenti, un comparto di 4 milioni di operatori che rappresenta il 12,5% del P.I.L. e gli addetti ai lavori vogliono rimanere arroccati dentro le loro caste consapevoli del peso politico che possono esercitare, nonostante censure e moniti sul sistema ordinistico nazionale siano giunti dall’Europa in più riprese. Ora viene anche il dubbio se tutto ciò sia un bene per la collettività.
Il termine liberalizzazioni sta ad indicare un processo legislativo tramite il quale si vanno a ridurre restrizioni di mercato precedentemente esistenti. Si tratta, in altre parole, di adeguare determinate regole economico – commerciali ai principi del liberalismo economico, dell’esigenze di libera scelta e di autonomia.
L’A.P.I.S. (Associazione Professionale Investigazioni e Sicurezza) è in assoluta sintonia con la liberalizzazione delle professioni, in particolare ritiene che svincolare gli investigatori privati dalla licenza non può che portare benefici e giovamento a tutta la categoria che adesso è soffocata dagli obblighi onerosi derivanti da tale autorizzazione. L’associazione predetta ha una visione – insomma – diametralmente opposta a coloro che suggerivano – invece – di inserire negli ALBI anche la figura dell’investigatore privato, atto del tutto privo di senso e che mai potrà realizzarsi.
La normativa vigente sulle professioni intellettuali – infatti – è monitorata dalla UE e si pone come obiettivo principale quello di eliminare le barriere discriminatorie all’accesso di tali professioni, la tutela dei consumatori e lo sviluppo dell’occupazione. L’aggiornamento del “data base” europeo relativo alle professioni regolamentate, in un primo tempo, ha escluso la figura dell’investigatore privato e – pertanto – l’APIS si è attivata, a metà del 2014, sollecitando il Dipartimento Politiche Europee affinché la Direttiva 2005/36/CE fosse applicata anche a costoro e venissero contemplati nell’elenco delle professioni regolamentate. Ottenere tale importante riconoscimento significa consentire agli investigatori italiani di esercitare la loro professione anche negli Stati membri a condizioni di particolare favore. Un’altra Direttiva (2013/55/UE) – invece – prevede di conferire la tessera professionale europea a determinate categorie professionali ed anche qui l’APIS è scesa in campo per sollecitare gli organi competenti a includere i detectives nostrani, percorso in salita ma possibile.
In seno alla nostra associazione professionale esistono organi collegiali a cui vengono assegnati dei progetti. Una di queste commissioni ha il compito di ricercare la possibilità di elevare a rango di professione intellettuale l’attività svolta dagli investigatori privati con tutti i risvolti che ne conseguono.
Gli associati dell’APIS rispondono di fatto ai requisiti sanciti dalla Legge n. 4 del 14 gennaio 2013 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 22 del 26/01/’13 ed entrata in vigore il 10 febbraio ’13.
Tale direttiva, una vera e propria rivoluzione copernicana che ha messo fuori gioco le “associazioni di categoria” e dato spazio alle “associazioni professionali” pertinente alle professioni non ordinistiche, è ancora – a nostro giudizio – fortemente sottovalutata, mentre l’APIS ne ha fatto il proprio “cavallo di battaglia” intuendo prima d’altri i risvolti concreti ed i benefici che essa avrebbe portato in seno all’attività svolta dagli investigatori privati (e non solo). Alla luce della sopra citata disciplina sulle “professioni non regolamentate” siamo stati invitati dall’UNI (Ente italiano di Normazione) per partecipare allo studio di una nuova norma sulla professione dell’investigatore privato che sancisca i requisiti di conoscenza, abilità e competenza allineati con il quadro europeo sulle qualifiche (E.Q.F.) e l’attuazione di tale prescrizione porterà altre novità a favore della associazioni professionali che sono e resteranno garanti della corretta applicazione della stessa.
Uno degli effetti non trascurabili della norma che regolamenta le “associazioni professionali” è stato, per esempio, di aver ottenuto l’iscrizione alla gestione separata dell’INPS di un nostro associato, nonché la sua cancellazione come impresa dalla camera di commercio. Nessuno prima d’ora – per quanto ne sappiamo – ci era mai riuscito. Abbiamo sottoposto la questione alla Direzione dell’INPS chiedendo loro di recepire la normativa citata a livello nazionale e attendiamo gli sviluppi. Il mancato censimento degli investigatori privati esercenti tale professione, secondo l’INPS, sembrerebbe un ostacolo perché dovete sapere che non esiste una stima ufficiale in tal senso, ovvero non sappiamo quanti detectives privati esistono in Italia (parrebbe circa 3.000). Sembrerebbe un problema di facile soluzione, basterebbe che il Ministero chieda alle 103 Prefetture presenti quante licenze hanno rilasciato sui reciproci territori.
Chiudiamo sottolineando che l’APIS – attraverso la propria “commissione gamma” – ha dato battaglia per invalidare l’obbligo di esercitare la professione di investigatore privato previo la disponibilità di un ufficio distinto dalla propria abitazione in quanto tale prescrizione era da noi ritenuta obsoleta e siamo molto soddisfatti che questo nostro parere sia stato recepito nelle recenti rettifiche apportate nel D.M. 269/’10.
L’investigatore privato svolge, a nostro modo di pensare, una professio
ne intellettuale e dovrebbe essere svincolato dal possesso della licenza che promuoverebbe una concorrenza più liberale, anche perché – francamente – i possessori di licenza prima della riforma avvenuta nel 2010 sono la maggior parte ed hanno requisiti generici e astratti sanciti dal vecchio ordinamento e non certo bonificati dai corsi di aggiornamento e formazione cui li ha obbligati lo stesso decreto.
di Alessandro CASCIO – Segretario Nazionale APIS
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