Quali i presupposti per definire l’ammontare dell’assegno di mantenimento alla moglie disoccupata?
In questo articolo verranno riportare informazioni utili per tutti coloro che hanno deciso di separasi dal coniuge. Prima di trattare una delle principali conseguenze della separazione, ovvero, l’assegno di mantenimento chiariamo cosa si intenda per separazione giudiziale. Ai sensi dell’art. 151 del codice civile, la separazione deve trovare la propria giustificazione in una situazione di intollerabilità della convivenza. A tal fine, non è necessario che sussista una circostanza di conflitto attribuibile ad entrambe le parti, ben potendo dipendere anche dalla volontà di uno solo dei coniugi. A seguito del matrimonio vengono riconosciuti determinati diritti e doveri. La violazione dei doveri nascenti dal matrimonio, ad esempio la violazione dell’obbligo di fedeltà coniugale determina non solo intollerabilità alla prosecuzione della convivenza ma costituisce circostanza sufficiente a giustificare l’addebito della separazione nei confronti del coniuge responsabile. Con la separazione il vincolo matrimoniale è sospeso e non definitivamente sciolto come nel caso di divorzio.
Come si calcola l’assegno di mantenimento
In sede di separazione personale dei coniugi, il giudice è tenuto a decidere chi dovrà corrispondere all’altro un importo periodico che trovi origine nel dovere di solidarietà sociale tra marito e moglie. L’assegno di mantenimento consiste nel versamento di una somma di denaro nei confronti del coniuge economicamente più debole. Ciò consentirà alla moglie disoccupata ovvero la parte sprovvista di mezzi economici propri o non sufficienti di godere di un tenore di vita analogo a quello goduto durante il matrimonio. L’importo dell’assegno, quindi, dipenderà sicuramente dai redditi dei coniugi. Nel caso in cui solo il marito sia fonte di reddito e la moglie risulti senza lavoro, quest’ultima avrà sicuramente diritto a ricevere una somma adeguata, calcolata in base ai consueti guadagni del marito. Il calcolo dell’assegno di mantenimento dipenderà da una decisione del giudice che sarà adottata in base alle concrete esigenze di ciascun nucleo familiare. Il provvedimento dipenderà da diversi fattori, quali, presenza o meno di figli, assegnazione della casa coniugale, potenzialità professionali della donna, età e formazione lavorativa.
Quando non si ha diritto all’assegno di mantenimento?
Il diritto di ricevere il mantenimento spetta solamente al coniuge a cui non venga addebitata la separazione. A chi non si sia reso, quindi, responsabile della violazione dei doveri nascenti dal matrimonio, quali, fedeltà, coabitazione, supporto morale, materiale e collaborazione nell’ interesse della famiglia. Non spetta anche per i cosiddetti matrimoni brevi, ossia, quando la proposta di separazione arrivi dopo pochi mesi dall’inizio della convivenza. Al mutare delle situazioni personali e/o economiche ogni coniuge può chiedere una modifica dell’assegno. Ad esempio, una riduzione nel caso di calo delle proprie entrate economiche o qualora la moglie dimostri autonomia reddituale grazie ad un nuovo lavoro.
Cosa succede in caso di divorzio
Il divorzio segna la chiusura definitiva del vincolo matrimoniale. L’assegno di mantenimento prende il nome di assegno divorzile dovuto anche in questo caso al coniuge privo di redditi personali o sufficienti e che non abbia ricevuto pronuncia di addebito della separazione. Lo scopo dell’assegno non sarà più garantire il precedente stile di vita ma avrà una sola natura assistenziale in base a quanto stabilito dai principi di solidarietà costituzionale. A tal proposito, occorre anche che la moglie senza lavoro si trovi nella concreta impossibilità di svolgere un’attività lavorativa. Dovrà dimostrare che l’allontanamento dal mondo del lavoro dipenda da ragioni estranee alla sua volontà, collegate alla sua età (45 anni in poi), alla sua istruzione o formazione professionale. Secondo una recente sentenza della Suprema Corte di Cassazione del 09/02/2020 n. 6519, la casalinga ha diritto all’assegno di divorzio se per anni ha favorito la carriera del coniuge dedicandosi alla cura della famiglia e la formazione del patrimonio comune. Pertanto, si dovrà tener conto del contributo dell’ex moglie nell’amministrazione della vita domestica, formazione e crescita dei figli. Dovrà risultare che la scelta di non lavorare sia stata ponderata da entrambi i coniugi e non si tratti di una scelta soggettiva della donna per garantire rendite passive.