L’Investigatore Privato durante l’attività investigativa si trova a dover rispettare la normativa Privacy. Come l’introduzione di questa normativa ha cambiato la professione e qual è oggi il rapporto fra investigatore e GDPR?
Vista l’attività peculiare dell’Investigatore Privato, incaricato di trovare informazioni non facilmente reperibili senza un’accurata indagine, è fuori discussione che la normativa Privacy abbia avuto un forte impatto su chi svolge questa professione. Al contrario di quanto si fosse previsto però continuano a essere tanti i professionisti che svolgono questo incarico.
Quali sono dunque i limiti e gli obblighi a cui l’investigatore è sottoposto e quali le caratteristiche che questo ruolo richiede? Ne abbiamo parlato con Piero Provenzano, direttore operativo di RP Advisor, società di consulenza in materia di Privacy e Security.
Chi è l’Investigatore Privato oggi in Italia?
L’Investigatore Privato è un soggetto che, in presenza di determinati requisiti previsti dal Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza (TULPS) e dal Decreto Ministeriale 269/2010, richiede ed ottiene la licenza dal Prefetto territorialmente competente al luogo di stabilimento della sede dell’Agenzia.
Quali sono i requisiti che deve possedere colui che aspira a svolgere questa professione?
Il TULPS, con il combinato disposto degli artt. 11 e 134, prevede che l’aspirante investigatore non abbia riportato condanne per delitti non colposi, non abbia avuto a suo carico misure di prevenzione e sia di buona condotta morale.
Il D.M. 269/2010, inoltre, prevede che l’istante debba possedere una laurea almeno triennale nelle aree di: giurisprudenza, economia e commercio, scienze delle investigazioni, scienze politiche, psicologia con indirizzo giuridico, o titoli equipollenti.
Deve aver svolto attività operativa per almeno tre anni presso un Investigatore Privato munito di licenza da almeno 5 anni.
Deve superare un corso di perfezionamento universitario in materia di investigazioni e informazioni private.
In caso di ex appartenenti alla Forze di Polizia, non sarà necessario il corso di perfezionamento universitario e l’attività operativa presso un Investigatore licenziato.
Affrontiamo subito il punto dolente per l’attività investigativa privata, qual è il rapporto tra l’investigatore e la normativa Privacy?
E’ evidente che la normativa Privacy ha un forte impatto sull’attività dell’Investigatore che, per sua natura professionale, viene chiamato proprio per acquisire informazioni sulle persone che, evidentemente, non hanno nessun interesse a renderle note.
Chiaramente i due contrapposti interessi rende necessaria una normativa che bilanci le due situazioni giuridiche, consentendo l’esercizio di entrambi i diritti, quello della legittima conoscenza e quello della riservatezza.
L’investigatore Privato tratta, quasi esclusivamente, dati personali intesi come qualsiasi informazione riferita ad una persona fisica identificata o identificabile, con la naturale conseguenza che solo nella normativa Privacy, che disciplina il trattamento dei dati, vanno trovati gli strumenti che rendano lecita l’attività.
Quando entrò la prima normativa sulla Privacy, siamo nel lontano 1996, si diceva che sarebbe stata la fine delle investigazioni private, è successo davvero?
Assolutamente no. L’attività dell’Investigatore ha continuato a crescere e ad allargare le sue competenze, sempre più professionalizzate ed utili alla collettività.
In una società sempre più litigiosa e con facilità di ricorso alla giustizia, si rende indispensabile un soggetto qualificato che garantisca l’acquisizione di elementi di prova che possano aiutare gli organi giudicanti a decidere con giustizia.
La categoria degli Investigatori, dal 1996 ad oggi, ha saputo trasformare un potenziale problema, l’entrata in vigore della normativa Privacy, in una opportunità di crescita culturale e di maggior qualificazione della sua figura.
L’evoluzione dalla prima normativa del 1996 (D. Lgs. 196/2003, GDPR, Provvedimenti del Garante) ha sempre più definito e chiarito gli ambiti in cui l’Investigatore deve muoversi, tracciando un perimetro alla sua attività.
E’ evidente che l’Investigatore deve conoscere questo perimetro ed attenersi alle regole normative, rischiando, altrimenti, di incorrere in pesanti sanzioni amministrative e penali, con anche la conseguenza di inficiare i benefici che la sua attività avrebbe prodotto ai propri committenti.
Quali sono i limiti, in concreto, che la normativa impone all’attività dell’Investigatore Privato?
La normativa Privacy (così definita per semplicità espressiva) si basa fortemente sull’applicazione di principi generali, previsti all’art 4 del GDPR, che andranno applicati durante tutto il trattamento dei dati.
Tra questi principi quelli che maggiormente andranno tenuti ben presenti, vi sono: il principio di liceità, dove l’Investigatore dovrà trovare una base giuridica che renda lecita la sua attività. Questa base può essere raramente nel consenso dell’Interessato, più probabilmente nel legittimo interesse del proprio committente o, in caso di trattamento dati particolari, nella necessità di far valere o difendere un proprio diritto in sede giudiziaria.
Altro principio al quale prestare massima attenzione è la minimizzazione dei dati personali. Ciò sta a significare che i dati che verranno trattati durante l’investigazione dovranno essere pertinenti, proporzionati e non eccedenti rispetto alla finalità per il quale vengono raccolti.
Il principio di trasparenza nel trattamento dati, che trova la sua applicazione anche nel rilascio dell’informativa quando i dati vengono raccolti direttamente presso l’Interessato, è sicuramente quello che maggiormente crea alcune difficoltà ad alcune tipologie di investigazioni.
L’investigatore Privato è tenuto a un obbligo di riservatezza che tuteli il committente, e nel caso violi questo obbligo, quali conseguenze potrebbe avere?
Con la riforma del “Giusto processo” intervenuta nel 2000, è stato riconosciuto all’Investigatore Privato Autorizzato (autorizzato dal Prefetto a svolgere indagini difensive nel processo penale) il diritto di opporre il segreto professionale dinnanzi all’Autorità Giudiziaria, così come previsto all’art. 200 cpp e successivamente, nell’anno 2009, esteso anche al processo civile con la modifica dell’art. 249 cpc.
Questo importante riconoscimento ha, come conseguenza, sottoposto l’Investigatore all’eventuale applicazione dell’art. 622 cp, che punisce con la reclusione colui che, senza giustificato motivo, rivela circostanze e fatti acquisiti nell’ambito della sua professione.
Oltre alle norme citate, a tutela della riservatezza di terzi, interviene anche la normativa Privacy, che punisce la divulgazione o comunicazione di dati a soggetti non legittimi destinatari.
Non di secondario aspetto, vi è la deontologia dell’Investigatore che le associazioni di categoria impongono ai loro iscritti. La massima riservatezza è sicuramente un punto focale della deontologia.
Quindi, tornando alla sua domanda, credo che i cittadini si possano sentire tutelati nel confidare le proprie intimità e fornire i propri dati personali ad investigatori Privati muniti di licenza, che sono garanzia di riservatezza professionale.
Cosa potrebbe essere migliorato nell’attuale normativa Privacy in ambito di investigazioni private?
Come precedentemente accennato, la normativa Privacy consente e riconosce l’attività dell’Investigatore privato rispettoso delle regole citate.
Il principio che crea maggior difficoltà all’attività investigativa è sicuramente quello della trasparenza nella parte in cui prevede l’obbligo di fornire l’informativa quando il dato viene raccolto presso l’Interessato.
Vi sono tantissimi casi in cui vi è la necessità di provare, in sede giudiziaria, un determinato comportamento da parte di un soggetto attenzionato dall’indagine.
Molto spesso non vi è alternativa all’interazione con il soggetto, con la conseguenza dell’obbligo di informarlo preventivamente dello stato professionale dell’investigatore e della finalità dell’interazione.
E’ evidente che questo obbligo comprometterebbe sostanzialmente lo svolgimento dell’indagine, con la conseguente impossibilità di produrre prove nelle sedi giudiziarie, menomando il diritto di giustizia.
Faccio solo alcuni esempi pratici: si pensi al coniuge che deve dimostrare che l’altro coniuge svolge prestazioni e percepisce denaro in nero; alla vendita di beni contraffatti, ai reati di diffamazione, allo smercio di beni di illecita provenienza, alla circonvenzione che alcune sette esercitano su minori, e tanti altri casi.
Sarebbe auspicabile che la normativa europea (GDPR) prevedesse l’esimente quando fornire l’informativa all’Interessato può essere compromettente per l’esito dell’attività investigativa o essere di pregiudizio all’incolumità dell’Investigatore, che spesso si trova ad operare in contesti ostili e di alta densità criminale.
L’auspicabile esimente è oggi riconosciuta proprio alla sua categoria, quella dei giornalisti, i quali, in presenza delle citate circostanze, possono omettere l’informativa all’interessato nello svolgimento del così detto giornalismo investigativo.
E’ di non semplice comprensione, questa disparità di considerazione in situazioni che, benché differenti, sono molto assimilabili.
Entrambe le attività sono legittimate da un interesse costituzionalmente riconosciuto, il diritto alla cronaca ed il diritto di ricorso al Giudice per sanare una ingiustizia.
(Contenuto realizzato in collaborazione con RP Advisor)