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Condannato per un dente: Ted Bundy

Non tutti sanno che la condanna alla sedia elettrica di Ted Bundy, non il più pericoloso ma certamente il più mediatico dei serial killer, è avvenuta a causa di un dente. Il processo in Florida che determinò la sua fine fu infatti l’atto di nascita di una nuova disciplina, l’odontologia forense.

Al processo di Miami, Bundy era arrivato dopo la strage della Chi Omega del 14 gennaio 1978: tre ragazze morte, due ferite gravemente. Una furia selvaggia, troppo a lungo repressa, si era abbattuta su di loro. Tre settimane dopo, Bundy sequestra e uccide la 12enne Kimberly Leach. Il 12 febbraio è in fuga e viene arrestato. Al processo, nel 1979, Bundy incredibilmente si auto-nomina come parte del suo stesso collegio di difesa. Rifiuta il patteggiamento che gli viene proposto, va a rischiare la pena di morte. Molte donne sono presenti tutti i giorni e se lo mangiano con gli occhi: è la quintessenza della virilità. Lui fa lo spaccone. A un teste: “hai preso un granchio, amico mio, ma vedrai che insieme li prenderemo”. Oppure : “oggi mi sono vestito da avvocato”. Vuole più luce in cella, vuole poter andare in palestra, punta il dito contro il giudice, che la prende malissimo. Crede di farcela.

Ma il 17 luglio depone Richard Souviron, dentista. Il tessuto della natica sinistra della Levy, una delle vittime della Chi Omega, portava la visibile impronta di un morso: era stato distrutto per un errore nel metodo di conservazione, quindi il confronto col calco dentario di Bundy avvenne sulle foto. Era la prima volta che una cosa del genere veniva tentata in un tribunale: sarebbe passata? Souviron sovrappose una foto del morso con una della dentatura di Bundy e disse : “combaciano perfettamente!”. Uno degli incisivi centrali era infatti scheggiato e dalle cartelle cliniche risultava rotto ben prima di quando diceva Bundy, e cioè nel marzo del 1978 … la sua menzogna non funzionò. Uno degli avvocati di Ted si dimise e gli altri gli impedirono, da quel momento, di controinterrogare i testi.

Ma il processo era in discesa: Bundy fu condannato a morte. Condanna eseguita nel 1989, due scosse da 2000 volt. Poco prima di morire ammise altre vittime, per un totale di 23 accertate e 10 possibili, tra il 1961 e il 1978.

L’odontologia non era mai stata applicata al mondo forense prima di quel processo. Fu un successo. Non è sempre stato così: quando la stessa operazione del processo in Florida fu proposta nell’ambito del processo per l’omicidio di Simonetta Cesaroni, il caso di via Poma, tra 2010 e 2011, non passò. Il confronto tra la foto del morso lasciato dall’assassino sul capezzolo sinistro e la dentatura dell’imputato, l’ex fidanzato Raniero Busco, non convinse la Corte. Vidi quel calco: la dentatura era davvero particolare. Si poteva però confrontare un oggetto fisico con un’immagine tridimensionale estratta da una foto? Ed era davvero un morso?  Furono queste domande a dominare il processo.

Ma questa disciplina si applica anche a molto altro, dal riconoscimento di resti scheletrici attraverso la dentatura, alla stima dell’età in viventi e cadaveri, dai segni di maltrattamenti e abusi, all’identificazione di sesso e razza fino ovviamente a tutti quei casi in cui si discuta di una eventuale errata pratica medica. È una disciplina che si muove al confine con l’antropologia e dove adeguati studi consentono all’odontologo (che è innanzitutto un iscritto all’Albo degli Odontoiatri) di estendere il suo campo d’azione all’intero cranio. Basti pensare a quanto può risultare utile una figura professionale del genere nell’identificazione delle vittime di un disastro di massa, laddove peraltro l’intera operazione avverrà con costi inferiori a quelli dell’esame del dna.

Non sempre gli assassini mordono le loro vittime, ma comunque dal 1979 farlo è diventato un’arma a doppio taglio. Ogni dentatura è unica come le impronte digitali e il dna; e gli odontologi sanno come usarla per identificare un autore di reato.

Foto di Bogdan condr su Unsplash

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