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Criminal profiling: di cosa si tratta e a cosa serve?

Il criminal profiling è una tecnica investigativa che si sviluppa in America intorno agli anni ’70. Serve a tracciare il profilo psicologico e il modus operandi di un possibile criminale. Nella maggior parte dei casi è utilizzata per gli omicidi seriali e i casi di violenza sessuale.

Criminal profiling: cos’è e quando nasce

Il criminal profiling è un processo investigativo utilizzato per tracciare la personalità, gli aspetti psicologici e i modelli comportamentali di un criminale, in base alle informazioni raccolte sulla scena del crimine e dai racconti di eventuali vittime e testimoni. Questa tecnica è conosciuta anche come “analisi comportamentale criminale” ed è stata sviluppata e adottata in modo sistematico intorno agli anni ‘70 negli Stati Uniti.

Il primo approccio alla materia, però, sembrerebbe risalire al 1880. Due medici britannici, George Phillips e Thomas Bond, utilizzarono gli indizi della scena del crimine per fare previsioni sulla personalità dell’assassino seriale comunemente noto come “Jack lo Squartatore”.

Ad oggi, il metodo di profiling viene comunemente utilizzato per risolvere crimini complessi, come gli omicidi seriali o i casi di violenza sessuale. Gli esperti di profiling utilizzano la psicologia comportamentale e la criminologia per analizzare le prove raccolte sul luogo del delitto e delineare un profilo psicologico del colpevole, comprensivo di età, sesso e personalità, con l’obiettivo di aiutare gli inquirenti ad individuare i possibili sospettati e risolvere il caso.

Uno dei principali obiettivi del criminal profiling è quello di fornire alle autorità una serie di informazioni su come pensa e ragiona il criminale, non solo con l’obiettivo di assicurarlo alla giustizia, ma anche di prevenire nuovi e ulteriori omicidi.

Profiling e omicidi seriali

Nel corso degli anni, il criminal profiling ha dimostrato di essere efficace in molte indagini di alto profilo, in particolare per fermare alcuni pericolosi serial killer.

Intorno agli anni ‘70, negli Stati Uniti, si assistette ad un’incredibile escalation di violenza criminale. Se fino a quel periodo il termine “serial killer” aveva fatto giusto qualche comparsa durante alcuni convegni, da allora iniziò ad entrare a far parte del linguaggio comune, in particolare grazie all’attività di due profiler dell’FBI, Robert K. Ressler e John E. Douglas.

Il criminal profiling inizia a stabilire come i serial killer agiscono e perché, qual è il loro profilo psicologico e quali sono le loro potenziali vittime. Grazie a questa tecnica, i criminologi dell’FBI riescono a tracciare alcune differenze tra i diversi profili di assassini seriali, che ad oggi sono ancora valide. In generale i serial killer sono classificabili in due grandi categorie, quelli organizzati e quelli disorganizzati.

I primi sono assassini lucidi, spesso molto intelligenti, metodici nella pianificazione del delitto, che conducono una vita sociale ordinaria. I secondi, invece, agiscono d’istinto, soffrono generalmente di qualche disturbo mentale o hanno un quoziente intellettivo piuttosto basso.

In quest’ottica, l’FBI ha stilato anche una classificazione delle motivazioni che spingono i serial killer a uccidere. Dal tornaconto economico, alla necessità di esercitare potere sulle proprie vittime, fino all’obiettivo, assai delirante, di rendere il mondo un posto migliore.

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