Studio riabilitativo nel sistema penitenziario
Il carcere, un sistema abbandonato, se ne parla sempre poco e così poco si sa di cosa accade al suo interno. Diventa focalizzante tra la società quando accade qualcosa di eclatante, quando i social media decidono di sottolineare una crepa o un problema inerente al sistema in decadenza. Si parla di rivolte, suicidi, criminalità interna, sovraffollamento e di delitti diventati ormai eventi mediatici.
Immersi nel quotidiano si dimentica facilmente di quelle strutture poco distanti dai centri abitati, come se i problemi inerenti al carcere non siano collegati al vivere sociale del paese.
La criminologia clinica prende piede in questa realtà parallela come simbolo di correggibilità del deviante e del suo reinserimento nella società. La materia abbraccia una moltitudine di scienze in ambito forense, tra cui la psicologia penitenziaria, con la finalità di una riabilitazione e rieducazione effettiva. La sua morale è posta alla base del sistema riabilitativo per un trattamento essenziale e propedeutico alla non recidività, per cui il detenuto viene osservato a 360°.
Le terapie sottoposte ai detenuti determinano una funzione istituzionale, l’eliminazione della profilassi criminale e il raggiungimento di una corretta riabilitazione caratteriale, morale e sociale del soggetto.
Nel 1928 Di Tullio scrisse: “terapia del delitto (…) deve basarsi sul cardine fondamentale della bonifica morale del delinquente e svolgersi quindi attraverso la rieducazione razionale dei delinquenti minorenni, la riforma penitenziaria, e l’assistenza materiale e morale ai liberati dalle carceri per il loro riadattamento sociale”.
In quegli anni nascono i primi servizi di Antropologia Penitenziaria, erano presenti alcune funzionalità di prima conoscenza, i detenuti venivano valutati e classificati.
La figura del criminologo all’interno del sistema penitenziario è fondamentale, come lo psicologo, il medico e l’educatore sociale. È un’istituzione penitenziaria che nella maggior parte dei casi affronta colloqui clinici, che studiano il comportamento deviante, fornendo all’equipe un “criminal profiling” essenziale per le successive procedure da attuare al detenuto. Il colloquio con il detenuto va osservato, decodificato e interpretato secondo il suo significato e nella sua dinamicità.
La struttura carceraria implica involontariamente delle scelte comportamentali non sempre congrue a quelle che una persona riuscirebbe a gestire in un luogo più “libero”, magari al di fuori del carcere, dove non sono presenti molte restrizioni e regole da seguire. In tal caso è opportuno avere un occhio oggettivo e obiettivo, il detenuto durante il colloquio deve ritrovare quel ruolo sociale positivo che, con l’ingresso in carcere è stato perso o abbandonato, sostituito dalle varie etichettature: delinquente, condannato, emarginato.
Nell’ambiente carcerario diverse difficoltà sono vissute quotidianamente dai detenuti: depressione, ansia, stress, la poca autostima, la difficoltà di speranze positive per il futuro e la difficoltà di richiedere aiuto. Una delle paure più sentite è quella di essere aggrediti dagli altri detenuti, molto spesso non denunciano il fatto ma utilizzano escamotage diverse per far percepire un senso di disagio.
Ecco perché il colloquio deve essere valutato adeguatamente, la criminologia clinica presenta ampi spazi d’osservazione utili a non sottovalutare nessun campanello d’allarme da parte del detenuto. È necessario utilizzare ogni capacità professionale al fine di rendere più congruo possibile la vita, dall’entrata nel carcere, alla riabilitazione e alla rieducazione.
Secondo l’art 80, 4 comma della Legge 354 del 1975: “per lo svolgimento delle attività di osservazione e di trattamento, l’amministrazione penitenziaria può avvalersi di professionisti esperti in psicologia, servizio sociale, pedagogia, psichiatria e criminologia clinica, corrispondendo ad essi onorari proporzionati alle singole prestazioni effettuate”.
All’interno degli istituti penitenziari, il criminologo è chiamato a svolgere il proprio compito in diversi momenti. Uno dei ruoli fondamentali che ricopre è durante l’indagine, il suo compito è quello di instaurare un rapporto con l’indagato, cercando di comprendere le motivazioni che lo hanno indotto a commettere un fatto criminoso, misurando il livello di pericolosità sociale.
Una professionalità davvero importante per l’equipe, grazie al proprio bagaglio culturale in ambito forense, al sapere criminologico, e ai vari strumenti utilizzabili in questo campo.