La nascita di un bambino è un evento che incide profondamente nella vita di una donna. Non tutte le donne sono nelle condizioni o desiderano diventare madri. Come tutelare chi preferisce un parto anonimo?
Mamme segrete e madri che uccidono
Durante la gravidanza, specialmente in situazioni di difficoltà della madre a rispondere adeguatamente ai bisogni del bambino, è indispensabile che la donna sia seguita in maniera qualificata, per la tutela sua e del nascituro, in modo da evitare decisioni affrettate e spesso drammatiche, al momento del parto. Occorre sostenere, accompagnare, informare le donne, affinché le loro scelte siano libere e consapevolmente responsabili. È fondamentale la relazione della comunicazione con la donna.
Seguire una donna durante tutte le fasi della gravidanza è importante anche per evitare che, dopo il parto, a causa di depressione o altre cause essa possa essere esposta al rischio di commettere il più atroce dei delitti: il figlicidio.
Parto anonimo: la riservatezza come elemento fondamentale
In ospedale, al momento del parto, serve garantire la massima riservatezza, senza giudizi colpevolizzanti ma con interventi adeguati ed efficaci, per assicurare che il parto resti anonimo se è questo ciò che la donna desidera.
La donna che non riconosce e il neonato sono i due soggetti che la legge deve tutelare, intesi come persone distinte, ognuno con specifici diritti. La legge consente alla madre di non riconoscere il bambino e di lasciarlo nell’ospedale in cui è nato (DPR 396/2000, art. 30, comma 2) affinché sia assicurata l’assistenza e anche la sua tutela giuridica. Il nome della madre rimane per sempre segreto e nell’atto di nascita del bambino viene scritto “nato da donna che non consente di essere nominata”.
Difficoltà materna e servizi disponibili
Molte regioni ed in particolare alcune città italiane, per prevenire il fenomeno dell’abbandono traumatico del neonato, hanno promosso campagne informative in proposito, potenziando i servizi a tutela della donna in difficoltà e orientando gli ospedali più specializzati a seguire il parto in anonimato. In questo modo si può garantire il diritto alla salute della gestante e del nascituro, un parto protetto nella struttura ospedaliera e la possibilità di esercitare una libera, cosciente e responsabile scelta da parte della donna, se riconoscere o meno il bambino.
Parto anonimo e disposizioni di legge
Il nostro ordinamento giuridico garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile e la tutela della maternità.
Chi nasce è riconosciuto dalla nostra legge come “persona”, cui è attribuita la capacità giuridica, cioè la titolarità di diritti, soprattutto quelli inviolabili (diritto all’identificazione, al nome, alla cittadinanza, alla certezza di uno status di filiazione, alla educazione e alla crescita in famiglia).
Al neonato non riconosciuto devono essere assicurati specifici interventi, secondo precisi obblighi normativi, per garantirgli la dovuta protezione, nell’attuazione dei suoi diritti fondamentali.
La dichiarazione di nascita, nel caso in cui la madre voglia restare anonima, è fatta dal medico o dall’ostetrica ai sensi dell’art. 30, comma I, DPR 396/2000: “La dichiarazione di nascita è resa da uno dei genitori, da un procuratore speciale, ovvero dal medico o dalla ostetrica o da altra persona che ha assistito al parto, rispettando l’eventuale volontà della madre di non essere nominata”.
L’adozione del bambino non riconosciuto
L’immediata segnalazione alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni della situazione di abbandono del neonato non riconosciuto permette l’apertura di un procedimento di adottabilità e la sollecita individuazione di un’idonea coppia adottante. Il neonato vede così garantito il diritto a crescere ed essere educato in famiglia e assume lo status di figlio legittimo dei genitori che lo hanno adottato.
Nella segnalazione e in ogni successiva comunicazione all’autorità giudiziaria devono essere omessi elementi identificativi della madre.
Casi particolari
La madre con particolari e gravi motivi che le impediscono di formalizzare il riconoscimento, può chiedere al Tribunale per i minorenni presso il quale è aperta la procedura per la dichiarazione di adottabilità del neonato, un periodo di tempo di due mesi al più durante i quali la neomamma deve comunque mantenere un rapporto continuo con il figlio.
Il riconoscimento può essere fatto dal genitore che abbia compiuto 16 anni. Nel caso di madre non ancora sedicenne, impossibilitata quindi al riconoscimento, ma che voglia occuparsi del figlio, la procedura di adottabilità è sospesa anche d’ufficio sino al compimento del 16° anno, purché il minore, adeguatamente accudito, abbia un rapporto continuativo con la madre.
Limiti al diritto di accesso delle informazioni
L’art. 28 L. 49/2001, in osservanza dell’art. 7 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo del 1989 e dell’art. 30 della Convenzione de L’Aja sull’adozione internazionale del 1993 (art. 30), ha introdotto anche in Italia, dopo molte polemiche, il diritto dell’adottato di accedere, a certe condizioni e con certe procedure, alle informazioni concernenti l’identità dei suoi genitori biologici.
Tuttavia, l’accesso a quelle informazioni non è consentito se l’adottato non è stato riconosciuto alla nascita dalla madre naturale (cfr. art. 24, comma VII L- 24/149: “L’accesso alle informazioni non è consentito se l’adottato non sia stato riconosciuto alla nascita dalla madre naturale e qualora anche uno solo dei genitori biologici abbia dichiarato di non voler essere nominato, o abbia manifestato il consenso all’adozione a condizione di rimanere anonimo”).
Pertanto, il diritto a rimanere una mamma segreta prevale su ogni altra considerazione o richiesta e ciò deve costituire un ulteriore elemento di sicurezza per quante dovessero decidere, aiutate da un servizio competente ed attento, a partorire nell’anonimato.
Tuttavia, la Corte europea dei diritti umani (ricorso 33783/09 Godelli vs. Italia del 25/09/2012) e la Corte Costituzionale (sentenza n. 278/2013) ha dichiarato parzialmente incostituzionale l’art. 28, comma VII, L. 1984/1983, nella parte in cui non prevede – attraverso un procedimento, stabilito dalla legge, che assicuri la massima riservatezza- la possibilità per il giudice, su richiesta del figlio, di interpellare la madre che abbia dichiarato di non voler essere nominata, ai fini di una eventuale revoca dell’anonimato. Questo perché, si legge nella sentenza, i due diritti, quello della donna di non voler essere nominata e quello del figlio di conoscere le sue origini biologiche, non sarebbero pari davanti alla Legge.
Parti anonimi: le cifre
Secondo Anna Malenza, presidente associazione Calicantus Famiglie Adottive In Italia, le donne che partoriscono in anonimato sono passate da 400 a 300 circa l’anno ma questo significa che ci sono più parti “non protetti”, perché c’è poca informazione su questa possibilità. In realtà le donne che chiedono aiuto e vengono seguite da un servizio come Madre Segreta di supporto e sostegno psicologico durante la gravidanza a una scelta consapevole sono una minoranza. La maggior parte di chi arriva a non riconoscere il neonato è composta da donne che non hanno gli strumenti cognitivi per affrontare un percorso di consapevolezza. Queste donne, che nella maggior parte dei casi sono tossicodipendenti o soffrono di malattie psichiatriche, arrivano al parto senza essersi affidate a psicologi o assistenti sociali. Sono donne che rifiutano interventi e supporti ma che poi si trovano a dovere scegliere, nonostante tutti gli interventi dei servizi sociali che scendono in campo in questi casi.