Investigatore privato, il fascino di un mestiere che incuriosisce e attira. Molti, anche per merito degli stereotipi che accompagnano la professione, vorrebbero farne la professione della vita.
Intuito, sagacia, curiosità, caparbietà? Servono, ma non bastano, nemmeno nei film.
Come si diventa detective riconosciuti dalle istituzioni e in grado di lavorare legittimamente, nell’abito delle normative vigenti, in Italia?
Partiamo dai numeri, per quanto non ufficiali, in mancanza di una adeguata ricerca e classificazione in merito. In Italia operano almeno 3.000 investigatori privati, la maggior parte concentrati tra Milano, Napoli e la Capitale. Quasi tutti operano nel quadro del vecchio ordinamento, mentre solo pochi hanno iniziato l’attività con il nuovo regime in vigore dal 2010, nei fatti una autentica riforma in miniatura.
Oggi è indispensabile, per esercitare, richiedere e ottenere una licenza/autorizzazione dalla Prefettura competente per territorio, quella cioè della Provincia in cui si intende stabilire la sede dell’agenzia e dimostrare il possesso dei requisiti richiesti.
E in questo dato risiede la prima, sostanziale differenza, con il precedente apparato normativo – quasi del tutto riconducibile al famigerato TULPS, il testo unico delle leggi di pubblica sicurezza del 1931 – che prescriveva fosse documentata, semplicemente, la capacità tecnica. Non serviva neppure il possesso di un titolo di studio idoneo o specifico. La legge richiedeva solo che il candidato si dimostrasse non analfabeta. La necessaria capacità tecnica si risolveva in un insieme di conoscenza e pratiche apprese come ex appartenente alle forze dell’ordine o mediante un periodo di praticantato presso un’agenzia di investigazioni.
Altri presupposti irrinunciabili erano il possesso dei requisiti morali e la fedina penale intonsa. In assenza di percorsi formativi idonei, quindi, l’acquisizione delle capacità richieste poteva essere certificata alla Prefettura dal titolare dell’agenzia presso la quale l’aspirante investigatore si preparava. Oppure, in alternativa, faceva fede lo stato di servizio accumulato in un corpo di polizia.
Tutto questo fino al 2010, anno in cui è stata varata l’auspicata riforma di un sistema obsoleto, il più arcaico d’Europa, condannato anche dalla Corte di Giustizia Europea. Secondo molti, in realtà, una semplice mini-riforma, che si è risolta nell’eliminare il limite territoriale dell’esercizio dell’attività – prima confinata alla provincia – autorizzare le attività di controllo statico (appostamento) e controllo dinamico (pedinamento) e concedere l’uso di apparati elettronici nelle auto dei soggetti da monitorare, per i pedinamenti a distanza. Oltre a riconoscere la figura dell’investigatore privato dipendente.
Ma cosa stabilisce, più nel dettaglio il decreto del Ministero dell’interno n. 269 del 1º dicembre 2010?
Anzitutto, come si accennava, una vera e propria classificazione, o graduazione, degli operatori:
• investigatore privato titolare d’istituto;
• informatore commerciale titolare d’istituto;
• investigatore autorizzato dipendente;
• informatore autorizzato dipendente.
La differenza tra investigatore privato e informatore commerciale? Presto detta: quest’ultimo si limita alla raccolta di dati relativi alle imprese, concernenti i bilanci, i debitori protestati, i riferimenti anagrafici delle imprese e all’aggregazione dei dati raccolti.
Fondamentale, per l’accesso alla professione, è il riordino dei requisiti per ottenere la a licenza prefettizia, come già detto oggi svincolata dall’attività entro i limiti della provincia.
Per diventare investigatore titolare occorre quindi:
1. possedere una laurea almeno triennale (Giurisprudenza, Psicologia ad indirizzo forense, Sociologia, Scienze Politiche, Scienze dell’investigazione, Economia ovvero corsi equiparati);
oppure:
2. aver svolto documentata attività d’indagine – in seno a reparti investigativi delle forze di polizia – per un periodo non inferiore a cinque anni, e aver lasciato il servizio, senza demerito, da non più di quattro anni;
3. un triennio di pratica continua presso un investigatore privato autorizzato da almeno 5 anni;
4. partecipazione a corsi di perfezionamento teorico-pratici in materia di investigazioni private ad indirizzo civile organizzati da Università o centri di formazione professionali riconosciuti dalle Regioni.
L’esperienza presso le forze di polizia s’intende alternativa ai requisiti previsti dal terzo e quarto punto, ma non al titolo di studio.
Si diventa invece investigatore dipendente:
1. con il diploma di scuola media superiore;
oppure:
2. avendo svolto attività d’indagine nelle forze di polizia per almeno cinque anni, e aver lasciato il servizio, senza demerito, da non più di quattro anni (fermo restando il possesso del titolo di studio di cui al punto 1);
3. avendo svolto pratica triennale costante per almeno 80 ore al mese, quale collaboratore per le indagini elementari, presso un investigatore titolare di 134 TULPS da almeno 5 anni;
4. con la partecipazione a corsi di perfezionamento teorico-pratici in materia di investigazioni private ad indirizzo civile organizzati da Università o centri di formazione professionali riconosciuti dalle Regioni.
All’informatore commerciale titolare servono invece, per esercitare:
1. La laurea almeno triennale (Giurisprudenza, Psicologia ad indirizzo forense, Sociologia, Scienze Politiche, Scienze dell’investigazione, Economia ovvero corsi equiparati);
oppure:
2. essere stato iscritto al registro delle imprese in qualità di titolare d’impresa individuale, oppure come amministratore di società di persone o di capitali, per almeno tre anni negli ultimi cinque.
Infine, la qualifica di informatore commerciale dipendente è legata a:
1. diploma di scuola media superiore;
oppure
2. svolgimento d’attività d’indagine – in seno a reparti investigativi delle forze di polizia con specifico riferimento a reati in materia finanziaria – per un periodo non inferiore a cinque anni, ed aver lasciato il servizio, senza demerito, da non più di quattro anni (fermo restando il possesso del titolo di studio di cui al punto 1).
3. pratica triennale costante presso un informatore commerciale autorizzato da almeno 5 anni;
4. partecipazione a corsi di perfezionamento in materia di informazioni commerciali organizzati da Università o centri di formazione professionali riconosciuti dalle Regioni.
Inoltre, al momento della richiesta della licenza, i titolari degli istituti di investigazione e di informazioni commerciali devono individuare le attività che intendono svolgere.
Va poi predisposto e presentato al Prefetto, insieme all’istanza di autorizzazione, il progetto organizzativo, che deve indicare la sede principale dell’attività, eventuali sedi secondarie (con divieto di istituire sedi presso il proprio domicilio o sedi di studi legali), i requisiti dell’impresa e del richiedente la licenza, la tipologia dei servizi che intende svolgere, il personale che si intende impiegare, la disponibilità economica finanziaria (deposito cauzionale) e le dotazioni di tecnologie e attrezzature per lo svolgimento dei servizi.
Il deposito cauzionale, nello specifico, ammonta a 20.000 euro per gli istituti di investigazioni private, 40.000 nel caso di istituti di informazioni commerciali.
La cauzione deve essere integrata, per ogni sede secondaria, di 10.000 euro, e di ulteriori 5.000 per ogni tipologia di servizio autorizzata.
di Marco Paganotto
© Riproduzione riservata