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Estradizione: non si sfugge alla giustizia

A volte si pensa che, commettendo un reato e fuggendo all’estero, si possa evitare la giusta pena. Non è così. L’estradizione è l’istituto giuridico che consente alle sentenze di essere eseguite.

L’estradizione: diamole una definizione

L’estradizione è una forma di cooperazione giudiziaria tra Stati e consiste nella consegna da parte di uno Stato di un individuo, che si sia rifugiato nel suo territorio, a un altro Stato, affinché venga sottoposto al giudizio penale (in questo caso si ha estradizione processuale) o alle sanzioni penali se già condannato (in questo caso si ha estradizione esecutiva).

Caratteristiche generali

L’estradizione può essere attiva o passiva. È attiva quando è dall’estero, passiva quando è per l’estero.

L’art. 13 c.p. stabilisce che l’estradizione è regolata dalla legge penale italiana, dalle convenzioni e dagli usi internazionali.

Non è ammessa se il fatto che forma oggetto della domanda di estradizione non è previsto come reato dalla legge italiana e dalla legge straniera. Può essere concessa o offerta, anche per reati non previsti nelle convenzioni, purché non siano espressamente vietate.

I limiti dell’estradizione

L’art. 26, comma II, Cost. sancisce che non può esser disposta per i reati politici, a meno che non si tratti di reati di genocidio o i crimini contro l’umanità.

Ulteriori limiti sono stati esplicitati dalla Corte costituzionale, che ha affermato come, ai sensi degli artt. 10 e 26 Cost., l’estradizione è vietata quando l’ordinamento straniero sanziona con la pena di morte il delitto commesso (o imputato) al soggetto presente sul territorio nazionale. Sempre secondo la Corte costituzionale, ha stabilito che non è ammessa l’estradizione del minore che non sia considerato tale nel Paese richiedente.

Gli accordi di estradizione fra l’Italia e i Paesi stranieri

L’Italia, dal 1873, ha stipulato diversi accordi di estradizione bilaterale; in ordine cronologico, gli accordi sono stati stipulati con: Kenya, Nuova Zelanda, Bahamas, Singapore, Sri Lanka, Costa Rica, Uruguay, Bolivia, Cuba, Venezuela, Tunisia, Libano, Marocco, Stati Uniti, Australia, Argentina, Brasile, Perù, Cile, Canada, Cina, Messico, Repubblica del Kosovo, Emirati Arabi Uniti.

È inoltre parte della Convenzione europea di Strasburgo in materia di estradizione e assistenza in materia penale del 1957; di tale convenzione sono membri: Albania, Andorra, Armenia, Austria, Azerbaigian, Belgio, Bosnia ed Erzegovina, Bulgaria, Cipro, Corea del Sud, Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Georgia, Germania, Grecia, Irlanda, Islanda, Israele, Lettonia, Liechtenstein, Lituania, Lussemburgo, Macedonia del Nord, Malta, Moldavia, Monaco, Montenegro, Norvegia, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Repubblica Ceca, Romania, Russia, San Marino, Serbia, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Sudafrica, Svezia, Svizzera, Turchia, Ucraina, Ungheria.

In relazione a Polonia, Spagna e Ungheria, l’Italia ha concluso anche accordi di estradizione bilaterale successivi alla stessa Convenzione del 1957 e che pertanto si considerano come complementari alla stessa.

I principi che regolano l’estradizione

Tra i principi codicistici che regolano il procedimento di estradizione, si segnala:

  1. principio della doppia incriminazione: l’estradizione presuppone che il fatto sia punibile in concreto sia nello Stato richiedente sia nello Stato concedente;
  2. principio della specialità: l’estradizione concessa con riferimento a un determinato fatto non può estendersi a un fatto diverso anteriormente commesso;
  3. principio del ne bis in idem: non è ammessa l’estradizione relativa a un fatto per il quale sia già celebrato nello Stato un processo penale con sentenza irrevocabile di condanna o di proscioglimento;
  4. principio di specialità: se il processo per il medesimo fatto risulti in corso, esso prevarrà sulla richiesta di estradizione dello Stato estero.

I limiti dell’estradizione

Sia l’art. 13 c.p. che l’art. 26 Cost. pongono il divieto di estradizione del cittadino, facendo salva però la diversa disciplina pattizia internazionale.

A mente dell’art. 26, comma II, Cost., poi, l’estradizione non può essere concessa con riferimento ai reati politici, anche se sulla portata del limite si contendono diverse linee di interpretazione, la prima tendente ad assimilare la nozione di delitto politico di cui all’art. 26 Cost. con quella assai lata di cui all’art. 8 c.p., la seconda tendente a restringerne l’ambito ai delitti commessi in contrapposizione a regimi illiberali.

L’art. 698 c.p.p. pone, inoltre, i seguenti divieti di estradizione:

  1. se, per il reato per il quale l’estradizione è stata domandata, la persona è stata o sarà sottoposta a un procedimento che non assicura il rispetto dei diritti fondamentali;
  2. quando vi è ragione di ritenere che l’imputato o il condannato verrà sottoposto a pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti o comunque ad atti che configurano violazione di uno dei diritti fondamentali della persona.

L’estradizione attiva e passiva

L’estradizione è regolata agli artt. 697-719 c.p.p. per quella passiva e agli artt. 720-722 c.p.p. per quella attiva.

Estradizione passiva

Ai sensi dell’art. 697 c.p.p. è concessa dal Ministro di Giustizia previa decisione del giudice competente (vale a dire la Corte di Appello): si tratta dell’unico strumento per consegnare un soggetto a un’autorità straniera per l’esecuzione della pena.

Stabilisce, infatti, la norma: “Salvo che sia diversamente stabilito, la consegna a uno Stato estero di una persona per l’esecuzione di una sentenza straniera di condanna a pena detentiva o di altro provvedimento restrittivo della libertà personale può aver luogo soltanto mediante estradizione”.

Dunque, l’estradizione passiva rappresenta una modalità di consegna di un soggetto, che abbia trovato rifugio all’estero, ad uno Stato che ne faccia richiesta al fine di procedere nei suoi confronti (estradizione processuale) o di eseguire una sentenza di condanna a una pena detentiva (estradizione esecutiva).

Il limite fondamentale alla concessione dell’estradizione è rappresentato dal fatto che essa non deve compromettere la sovranità, la sicurezza o altri interessi essenziali dello Stato. Tale formula, volutamente omnicompreniva di tutte le ipotesi che possono involvere interessi statali fondamentali, trova applicazione quando le prerogative dello Stato presentano maggiore rilevanza rispetto all’obbligo di dare corso all’estradizione.

Altro limite è quello di cui al comma 1 bis dell’art. 697 c.p.p., il quale impone al Ministro della Giustizia di non dar corso all’estradizione se, nonostante la sussistenza di un accordo internazionale, quest’ultimo si limiti a concedere il potere di rifiutare l’estradizione ma senza regolarne l’esercizio. In tale ipotesi, il Ministro rifiuta l’estradizione, ma solo dopo aver attentamente valutato la gravità del fatto, gli interessi coinvolti e lesi dal reato e le condizioni personali dell’interessato nei cui confronti si è attivata la procedura.

Premesso che, di regola, competente a decidere sull’estradizione attiva è la Corte d’Appello, il Ministro della Giustizia da direttamente corso all’estradizione qualora vi sia il consenso espresso dell’interessato, a meno che:

  1. se, per il reato per il quale l’estradizione è stata domandata, la persona è stata o sarà sottoposta a un procedimento che non assicura il rispetto dei diritti fondamentali;
  2. se la sentenza per la cui esecuzione è stata domandata l’estradizione contiene disposizioni contrarie ai principi fondamentali dell’ordinamento giuridico dello Stato;
  3. se vi è motivo di ritenere che la persona verrà sottoposta ad atti persecutori o discriminatori per motivi di razza, di religione, di sesso, di nazionalità, di lingua, di opinioni politiche o di condizioni personali o sociali ovvero alla pena di morte o a pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti o comunque ad atti che configurano violazione di uno dei diritti fondamentali della persona;
  4. se ragioni di salute o di età comportino il rischio di conseguenze di eccezionale gravità per la persona richiesta.

In questi casi, la Corte di Appello pronuncia sentenza contraria alla concessione dell’estradizione.

L’eventuale rigetto della domanda di estradizione va comunicata dal Ministro della Giustizia allo Stato estero ed all’autorità giudiziaria.

L’estradizione attiva

L’estradizione è attiva quando lo Stato richiedente è l’Italia, e il procedimento prende avvio da una richiesta del Ministro della Giustizia, che può agire su sua iniziativa o su istanza del Procuratore generale presso la Corte d’Appello nel cui distretto si procede o deve essere eseguita la sentenza.

L’art. 721 c.p.p. formula la cd “clausola di specialità” in modo ancora più restrittivo e con riguardo alla sola libertà personale dell’estradato: non è, infatti, consentito sottoporre la persona consegnata a restrizione della libertà personale in esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza detentiva, né assoggettata ad altra misura restrittiva della libertà personale per un fatto anteriore alla consegna diverso da quello per il quale l’estradizione è stata concessa.

Il problema che si pone in proposito è quello di individuare quale sia l’interpretazione del principio di specialità, tra la formulazione codicistica che si riferisce solo al divieto di atti coattivi e quella data dalla normativa pattizia, che al contrario impone solitamente una impossibilità di procedere o eseguire una pena per fatti anteriori diversi.

A tal proposito, sono intervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10281 del 6 Marzo 2008, affermando che “in materia di estradizione attiva, il principio di specialità previsto dall’art. 14, par. 1, della Convenzione europea di estradizione e dall’art. 721 c.p.p. non è riferibile alle misure di prevenzione personali e al relativo procedimento di applicazione; ne consegue che la persona estradata in Italia per ragioni diverse può essere assoggettata a misure di prevenzione personali e al relativo procedimento, senza la necessità di una preventiva richiesta di estradizione suppletiva allo Stato che ne ha disposto la consegna”.

Il procedimento di estradizione

La richiesta è fatta ex art. 700 c.p.p. con domanda scritta acclusa copia del provvedimento da eseguire. Nella domanda vanno quindi illustrati i dati del soggetto da identificare, tempo e luogo dei fatti che costituiscono il reato, qualificazione penalistica del fatto previsto come reato con norme applicabili.

Qualora il Ministro della giustizia non ritenga di dover immediatamente respingere la richiesta, “la trasmette con i documenti che vi sono allegati al procuratore generale presso la corte di appello competente a norma dell’articolo 701 comma 4” (art. 703 c.p.p.). Si instaura nella Corte d’Appello un procedimento camerale, nel quale può costituirsi anche lo Stato estero.

Tralasciando le differenze fra estradizione convenzionale ed extraconvenzionale, il giudice controlla la legittimità dei requisiti della domanda e verifica l’assenza delle cause ostative all’accoglimento della richiesta di estradizione. La questione non torna al Ministro solo se la Corte nega l’estradizione o se il soggetto interessato adempie spontaneamente al ritorno nel paese straniero.

In caso invece di decisione favorevole all’estradizione, la questione torna al Ministro che può tuttavia continuare a negare l’estradizione, per ragioni politiche, non essendo vincolante il parere della Corte di Appello.

Per quanto riguarda l’Italia, “ai fini della pronunzia favorevole all’estradizione, è richiesta la documentata sussistenza e la valutazione dei gravi indizi di colpevolezza a carico dell’estradando soltanto se non esiste Convenzione di estradizione tra lo Stato italiano e lo Stato richiedente ovvero, pur tale Convenzione esistendo, che essa espressamente condizioni l’estradizione alla sussistenza dei gravi indizi: in regime convenzionale, invero, la sussistenza dei gravi indizi di reità va incontrovertibilmente presunta dai documenti che la Convenzione indica e ai quali il giudice dello Stato richiesto non può negare fede quando gli siano ufficialmente comunicati per il solo esame formale da compiere su di essi” (Cass., Sez. VI, Sentenza n. 45253 del 22/11/2005).

L’atto conclusivo è una sentenza ricorribile davanti alla Corte di Cassazione.

Un’ipotesi particolare

Si tratta di quella prevista dall’art. 720 c.p.p. che prevede accordi politici tra il Ministero della giustizia e lo Stato estero, accordi che si potrebbero rivelare vincolanti anche in sede processuale. Questa previsione è stata criticata, in quanto l’estradante potrebbe essere connivente con lo Stato estero nel dettare condizioni completamente contrarie all’ordinamento

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