Si chiamava Martina Scialdone, aveva 35 anni ed era un’avvocata romana. È stata uccisa, anzi freddata, con un colpo di pistola venerdì sera, dal suo ex compagno.
Un porto d’armi regolarmente detenuto, un uomo descritto dalle persone vicine l’avvocatessa burbero e freddo. Costantino Bonaiuti 61 anni, era un ingegnere dell’Enav (Ente Nazionale assistenza volo) con la passione per le armi.
In questo gennaio 2023 sono già tre le donne vittime di femminicidio: Giulia Donato, 23enne di Genova, uccisa il 4 gennaio dal fidanzato che si è poi tolto la vita; Martina Scialdone, avvocato di 35 anni, uccisa venerdì 13 gennaio a Roma dall’ex compagno e Teresa Di Tondo, uccisa il 15 gennaio dal marito.
Martina, era un’avvocata che si occupava di diritto di famiglia ma anche di maltrattamenti sulle donne e dal 2021 aveva una relazione con quest’uomo molto più grande di lei, che probabilmente voleva definitivamente chiudere. La domanda persistente in queste ultime ore è proprio questa “Martina, poteva salvarsi? Se si, che cosa non è andato come doveva?”
La dinamica dell’evento e i buchi neri della vicenda
Venerdì sera i due si sono ritrovati a cena presso il ristorante il “bardo” nella centrale via tuscolana e sembra che la donna ormai fosse decisa a chiudere questa storia, difatti si è parlato di un ultimo incontro chiarificatorio.
L’uomo, separato e conosciuto da tutti con il soprannome di Costy, è sopraggiunto nel ristorante con una pistola carica ben nascosta sotto la giacca e chissà forse la ragazza aveva ben compreso la gravità della situazione, essendo a conoscenza della passione dell’uomo per le armi. Un litigio forte, che ha preoccupato commensali e camerieri in sala, culminato in bagno. Ed è a quel punto che qualcosa ancora non torna.
Sembra che la donna sia stata costretta ad uscire dal bagno a causa dei forti pugni che l’uomo scagliava contro la porta, la ragazza infatti si era nascosta proprio per fuggire dalle urla e forse da un’aggressione fisica da parte dell’uomo che non ha potuto evitare. I due, hanno continuato la lite fuori dal locale fin quando l’uomo con un colpo di pistola al cuore, ha ucciso la donna.
Un colpo dritto, secco e senza nessun timore. La ragazza è morta anche nell’indifferenza e forse paura di chi era presente e ha potuto assistere alla scena, sorretta dalle sole braccia del fratello.
Le richieste di aiuto e i punti da chiarire
Secondo le prime ricostruzioni, dal ristorante sarebbero partite ben due telefonate intercorse già durante la lite scatenatasi a cena, ma i soccorsi non sono mai arrivati. Su questo punto, come in tanti altri da chiarire, seguiranno aggiornamenti approfonditi del caso.
Una vicenda che si infittisce sempre più in quanto i colleghi dell’uomo, in smart working in quanto soggetto fragile, hanno sostenuto più volte che l’uomo da tre anni lottasse contro un tumore, tanto da aver cominciato la chemioterapia, notizia opportunamente smentita dall’avvocato difensore. Sembra infatti che l’uomo non soffrisse di nessuna patologia oncologica ma forse lievi disturbi depressivi, per i quali era in cura.
L’uomo, originario di Asmara (etiopia) risiedeva a Fidene ed è un ex campione regionale di tiro tecnico sportivo.
Nel frattempo la procura di Roma con i PM del pool antiviolenza coordinati dal procuratore aggiunto Michele Prestipino, hanno contestato all’ingegnere l’accusa di omicidio premeditato, aggravato dai motivi futili e abietti e dalla relazione sentimentale con la vittima.
La convalida dell’arresto e le reazioni
L’uomo, come riportato in queste ore da diversi organi di stampa, aveva in casa 4 pistole e 2 fucili da caccia e nonostante le ultime notizie riferenti un disturbo di natura psichiatrica, aveva un porto d’armi regolarmente denunciato.
Perché con disturbi mentali lievi o moderati – come dichiarato dall’avvocato di Bonaiuti certificato dal medico- è possibile detenere un arsenale in casa e poter esercitare al poligono di tiro?
Nelle ultime ore, in seguito alla convalida dell’arresto, si stanno susseguendo sui social e organi di stampa ufficiali (Ansa), le dichiarazioni dell’avvocato dell’ingegnere secondo cui “l’uomo non voleva ucciderla, quindi non vi è stata nessuna premeditazione” e ancora “ci sono due vittime in questa storia” alludendo anche al coinvolgimento del suo assistito. Dimostrando, ancora una volta, come non solo si sottovaluti il femminicidio avvenuto ma si tenda a favorire un alleggerimento della posizione dell’uomo che si è reso colpevole di questo femminicidio.
La violenza contro le donne è diventata sistematica e non possiamo più parlare di episodi isolati: si è difatti cronicizzata, essendo ben inserita e incastrata nel tessuto sociale e forse, sentire queste parole, non è il modo migliore per giustificare un atto del genere.
Ricordiamo che, l’unica vittima in questa triste storia è proprio Martina, morta a soli 35 anni perché rifiutava una relazione che forse aveva ben compreso essere non sana per lei. Un ultimo chiarimento che non doveva esserci e che non deve mai esserci quando si parla di rapporti d’amore finiti male o dannosi.