Con la morte di Satnam Singh, il bracciante dell’Agro Pontino deceduto in seguito alle ferite riportate in un incidente sul lavoro, si è tornati a parlare di caporalato. Come viene punito questo reato per la legge?
Come nasce il caporalato?
Il caporalato nasce nei secoli scorsi, in Italia e nel resto del mondo, come forma di reclutamento di manodopera a basso costo, in particolare di operai agricoli, da parte di reclutatori per conto di imprenditori agricoli.
Tale pratica proseguì per anni come una normale forma di reclutamento sebbene già nella seconda metà dell’800, ovvero in piena rivoluzione industriale, venivano introdotte le prime vere e proprie forme di tutela dei lavoratori.
A metà del ‘900 le organizzazioni mafiose, in Italia lo trasformarono in un business nel quale sia i clan mafiosi che gli imprenditori agricoli si spartivano i proventi del fenomeno, altrimenti dovuti, ai braccianti. Tra le varie cause che determinano la “piaga” del caporalato si trovano i fenomeni migratori degli ultimi decenni, i quali hanno contribuito a ridefinire il ruolo della forza lavoro migrante, assolutamente indispensabile, in quanto va a sanare le carenze occupazionali di alcuni settori più “deboli”, dove il bisogno di manodopera a basso costo garantisce una maggiore appetibilità della forza lavoro immigrata rispetto a quella autoctona.
Cosa è il caporalato?
Il caporalato è una forma di sfruttamento lavorativo che colpisce migliaia di persone, soprattutto immigrati, che vengono impiegati in condizioni di precarietà e illegalità in diversi settori, come l’agricoltura, l’edilizia o la logistica. Il caporalato è un fenomeno diffuso in Italia, anche se dove esiste una normativa specifica per contrastarlo.
Si attua attraverso la mediazione illecita del lavoro, in cui il caporale organizza il trasporto, il lavoro e talvolta l’alloggio dei lavoratori, trattenendo parte del loro stipendio e spesso obbligandoli a lavorare in condizioni disumane, senza adeguati diritti e protezioni. Questi lavoratori sono sottopagati, sottoposti a orari estenuanti e non godono dei diritti lavorativi standard, come la sicurezza sul lavoro, i contributi previdenziali e l’assicurazione.
Un esempio
Un caso simbolico è rappresentato dal lavoro migrante nel settore agricolo del Sud-Italia, nello specifico della Sicilia. La presenza di migranti che vedono la Sicilia come una fase temporanea del loro viaggio, ha portato all’aumento della disponibilità di forza lavoro a basso costo, capace di soddisfare esigenze momentanee del mercato e dei settori produttivi locali.
Ad esempio, nella zona sud-orientale dell’isola, nello specifico a Cassibile (provincia di Siracusa) il lavoro agricolo stagionale svolto dai migranti è una pratica consolidata da anni. Infatti, moltissimi braccianti stagionali, si recano a Cassibile per la raccolta delle patate. Ogni mattina dalle 5:00 alle 7:00 i migranti vengono reclutati nella piazza principale o nei bar del paese per essere successivamente portati sul luogo di lavoro. Li aspetta un giorno di lavoro di 9/10 ore ricompensate con un salario di € 30/35, da cui detrarre in media da € 3,00 ad € 5,00 a persona per il trasporto nelle campagne. La media di raccolta è di 100 cassette di patate al giorno. Chi non raggiunge l’obiettivo il giorno dopo non trova lavoro.
Chi è il caporale?
Il caporale è ritenuta una figura di raccordo rispetto ad attività criminose volte ad organizzare l’ingresso clandestino di lavoratori immigrati, spesso gestite da associazioni mafiose che si occupano anche del trasporto dei lavoratori assunti abusivamente e della loro sistemazione in tende o in casolari abbandonati.
Spesso il reclutamento può addirittura avvenire nei Centri di accoglienza per richiedenti asilo o nei luoghi in cui c’è una forte concentrazione di aspiranti lavoratori o di disoccupati recenti (ghetti, campi, jungle, periferie). Inoltre, per reclutare ancora più efficacemente manodopera a basso costo il nuovo caporalato non disdegna di avvalersi delle più recenti tecnologie; WhatsApp è la nuova piazza che sostituisce progressivamente quelle fisiche: il centro di raccolta dei braccianti in cui, in tempo reale, si stabilisce anche il salario mediante aste. Tutto questo rende il fenomeno molto più veloce e meno rintracciabile.
Il caporale riesce anche a soddisfare la necessità di mobilitare velocemente un gran numero di “braccia”.
La violenza esercitata dai “capineri” è soprattutto una violenza silenziosa: non solo perché è il “caposquadra” dei lavoratori agricoli, ma anche perché è il principale detentore del loro accesso ai lavori agricoli, il che conferisce al “caponero” un potere contro il quale è difficile opporsi. Il profitto che il “caponero” ricava dalla sua attività è legato alla modalità di remunerazione che mette in atto: la raccolta a cottimo, illegale nella maggior parte dei contratti di lavoro agricolo. In questo modo il “caponero” arroga a sé una parte del compenso ottenuto da ciascun lavoratore agricolo su ciascuno cassone riempito.
Alcuni braccianti affermano che il caporale è indispensabile per trovare un impiego in territori nei quali è difficile contattare direttamente i datori di lavoro, ma anche per trovare un’abitazione e per altri tipi di servizi.
A differenza degli uffici per l’impiego, i caporali rappresentano oggi la modalità considerata più efficiente (e illegale) per fornire tali servizi. Vi è quindi da parte dei datori di lavoro, totale accettazione del fenomeno e riconoscimento della sua necessità. Contemporaneamente la cecità rispetto allo sfruttamento che si perpetra grazie al loro appoggio, sfruttamento che è totalmente palese e conosciuto.
Il reato di caporalato
Il contenuto del delitto di caporalato, secondo la legge italiana, include lo sfruttamento dei lavoratori e l’intermediazione illecita. La legge punisce chi recluta lavoratori sottoponendoli a condizioni lavorative e di vita indegne, pagando salari inferiori a quelli previsti dai contratti collettivi o senza rispettare le norme sui tempi di lavoro.
Le leggi per combattere il caporalato in Italia sono state rafforzate negli ultimi anni. Il decreto legislativo n. 151 del 14 Agosto 2015, meglio conosciuto come “Legge contro il caporalato”, ha introdotto misure più severe contro questo fenomeno. Questa normativa prevede, tra l’altro, pene detentive per i caporali e per gli imprenditori che si avvalgono di queste forme di intermediazione illecita. Inoltre, prevede sanzioni amministrative e la possibilità di sequestrare i beni utilizzati per commettere il reato di caporalato.
Si è cercato anche di promuovere condizioni di lavoro più equo attraverso la regolarizzazione dei lavoratori e l’inserimento di clausole sociali negli appalti pubblici. Inoltre, sono stati istituiti corsi di formazione per i lavoratori e campagne di sensibilizzazione per i consumatori.
Infine, le forze dell’ordine e gli ispettorati del lavoro sono impegnati in un controllo più stringente per individuare situazioni di sfruttamento lavorativo e applicare le sanzioni previste dalla legge.
A seguito del decreto legislativo menzionato, la L. 199/2016 ha introdotto l’art. 603bis c.p., rubricato “Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro”. La norma punisce chiunque recluta, assume, impiega o gestisce lavoratori in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di necessità in cui si trovano, ovvero dietro corresponsione o promessa di un compenso inferiore a quanto dovuto.
Le condizioni di sfruttamento sono individuate dalla norma in modo tassativo e riguardano:
- la violazione delle norme in materia di orario di lavoro, di riposo, di ferie e di permessi; il mancato rispetto delle norme in materia di sicurezza sul lavoro;
- l’imposizione di prestazioni lavorative superiori alle capacità fisiche del lavoratore;
- il ricorso a violenze, minacce, intimidazioni o inganni per costringere il lavoratore alla mansione.
L’ambito di applicazione del reato di caporalato non si limita al settore agricolo, ma si estende a tutti i settori produttivi, anche se la maggior parte dei casi accertati riguarda l’agricoltura e i lavori stagionali. Il reato può essere commesso da qualsiasi soggetto che rivesta una posizione di potere sul lavoratore, come il datore di lavoro, il caporale, l’intermediario, il subappaltatore o il committente. Il reato può essere commesso anche nei confronti di lavoratori regolarmente assunti o con contratto a tempo determinato, purché vi sia una situazione di sfruttamento e di necessità. Il reato può essere commesso anche da cittadini italiani o stranieri regolari, anche se spesso le vittime sono immigrati irregolari o senza documenti.
La pena prevista per il reato di caporalato è la reclusione da uno a sei anni e la multa da € 500,00 a € 1000,00 per ogni lavoratore coinvolto. La pena è aumentata se il fatto è commesso da una organizzazione criminale o se dallo sfruttamento deriva un danno alla salute o all’integrità fisica del lavoratore. Inoltre, il giudice può disporre la confisca dei beni utilizzati per commettere il reato o dei proventi illeciti, nonché il divieto di esercitare attività imprenditoriali per un periodo da uno a cinque anni.