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Il mistero del Mostro di Milano, il serial killer del coltello che avrebbe ucciso 11 donne

Esiste un Mostro di Milano? Stando stando agli atti processuali no, eppure a Milano ci sono state una quindicina di donne uccise in modo molto simile per cui non è mai stato trovato un colpevole.

Potrebbe aver ucciso da un minimo di 11 donne a 15 o 17. Potrebbe avere ucciso in un arco temporale che corre dall’inizio degli anni Sessanta, dal 1963, fino al 1975.

Per la giustizia italiana non c’è mai stato un ‘Mostro di Milano’ novecentesco, un secondo mostro dopo quello ottocentesco della Bagnerà, il falegname e manovale comasco Antonio Boggia che tra il 1849 e il 1859 uccise e smembrò quattro vittime per ragioni economiche, seppellendo i loro resti nella sua cantina nello stretto della Bagnera, prima di essere scoperto dagli austriaci e poi processato e impiccato dai piemontesi nel 1862.

Il vero Mostro di Milano è uno spettro della cronaca nera, mai esistito stando agli atti processuali e ai verbali della Polizia di Stato e dei Carabinieri che di fatto ne escludono l’esistenza.

Eppure a Milano ci sono state una quindicina di donne uccise, quasi tutte prostitute, quasi tutte uccise con grandinate di coltellate, e ognuno di questi singoli delitti è rimasto senza un colpevole.

Sono tutti cold case ancora aperti.

La scia di sangue del Mostro di Milano

Il ‘Mostro di Milano’, numeri alla mano, avrebbe ammazzato persino più del Mostro di Firenze colpendo almeno 11 volte, stando agli omicidi più recenti, quelli censiti, con 11 donne trucidate a colpi di coltello all’interno del perimetro metropolitano in un arco temporale compresso tra il 1970 e il 1975, quando termina questa lunga scia di omicidi.

Ma indagini successive hanno portato alla luce delitti antecedenti, risalenti addirittura al 1963. Forse 15 vittime, forse addirittura 17.

Numeri alla mano sarebbe stato il più feroce e ‘prolifico’ serial killer italiano eppure la sua figura resta avvolta nella nebbia, la scighera di quella Milano dell’infinito boom economico che si avviava a  diventare metropoli.

Una storia avvolta nel fumo della bomba di piazza Fontana

Come è possibile che 11 omicidi di donne in appena cinque anni siano passati quasi sotto silenzio in una città come Milano?

Una spiegazione c’è: il contesto storico di quegli anni turbolenti.

Da una parte l’onda di proteste del 1968 che non sembrava arrestarsi, la violenza politica che dilagava, incubando la nascita del terrorismo armato e dei successivi anni di Piombo. 

Dall’altra la criminalità comune, la cosiddetta ‘Mala’, con il boss Francis Turatello che a suon di omicidi sta scalando la gerarchia criminale diventando il boss indiscusso sotto la Madonnina, mentre un esercito di malavitosi da strada spara per rapinare a getto continuo banche, uffici postali, gioiellerie, in un clima da guerriglia urbana dove muove i primi passi anche un giovane Renato Vallanzasca.

Una chela di delitti, quelli politici e quelli malavitosi, che stritola tutto gli altri crimini, relegandoli a periferici. 

Ma il vero spartiacque è il 12 dicembre 1969, quando alle 16.37 esplode la maledetta bomba alla Banca dell’Agricoltura. 

Il Big Bang di quegli anni terribili, di un vortice di violenze e sangue.

Il volo mortale di Pinelli, i successivi anni di veleni intorno al commissario Calabresi, fino al suo tragico omicidio nel 1972, quindi l’attentato alla Questura di Milano nel 1973, con una bomba che non ferisce il primo ministro Rumor ma uccide tre agenti. Senza dimenticare un anno prima l’esplosione di un ordigno rudimentale al tritolo che si porta via l’editore Feltrinelli sotto il traliccio di Segrate.

Morti illustri, polemiche mediatiche e politiche ad occupare le pagine dei giornali come le chiacchiere nei bar: una cortina fumogena che nasconde l’ordinaria cronaca nera spicciola.

I delitti di donne diverse tra loro, senza un collegamento.

Se non l’arma del delitto e il numero di coltellate.

Tante, troppe, come se la mano assassina non volesse soltanto strappare la vita di quelle sventurate ma anche la loro bellezza, la loro femminilità, il loro essere donne.

Undici assassini che si copiano tra di loro, riuscendoci molto bene. Oppure un solo assassino, ossessionato dalle donne.

La mattanza di lucciole milanesi

A far passare in sordina questa strage al femminile contribuisce il fatto che quasi tutte le vittime, almeno otto su undici, sono donne di vita.

Lucciole, che brillano al buio sotto la luce dei lampioni.

Difficile capire se ad uccidere con queste grandinate di fendenti siano protettori, in lotta per il controllo dei marciapiedi periferici, oppure clienti violenti.

Di alcune di loro si sa pochissimo e la stampa relega i loro omicidi in trafiletti marginali. In un’Italia fortemente democristiana, dove Radicali e sinistra combattono per il divorzio e iniziano a parlare di aborto, la morale condiziona l’opinione pubblica.

E del sangue delle varie lucciole – con nomi improbabili tipo “Olli la rossa”, “La Betty dei camionisti”, “La zia del vial Suzzani”, “La Rosetta del Bottonuto”, “Piripopò” – interessa a pochi.

La logica è che in qualche modo se la sono cercata, scegliendo la strada e quel mestiere da fare al buio, agli angoli nascosti, di notte, quando le donne perbene restano a casa con mariti e figli.

Gli omicidi dell’affitta camere e della stilista

Milano non si interessa di questi delitti neppure quando il coltello affonda nella carne e nelle viscere di donne con una vita normale.

Il 16 febbraio 1970 in via Copernico, a due passi dalla stazione Centrale, una affitta camere di 49 anni, Margherita Adele Dossena, viene straziata alle 11 del mattino dalla solita raffica di colpi. Per gli inquirenti sarebbe una rapina. Anomala, commessa in pieno giorno, in pieno centro. Per un bottino misero.

La figlia della vittima, l’attrice Agostina Belli, assume un investigatore privato che rovista nel torbido delle notti milanesi e mette in correlazione i detti delle prostitute con quello dell’affitta camere. Quelle coltellate sono una firma del mostro. Ma tra reticenze, insabbiature e persino minacce l’inchiesta privata termina in un vicolo cieco.

Nel 1975 un omicidio fotocopia avviene dall’altro lato della Centrale, in via Settala: la venticinquenne disegnatrice di abiti Valentina Masneri Tribolati viene trucidata con 16 coltellate in casa propria. A scoprire il delitto sarà il marito, indagato ma scagionato. Motivo della furia omicida la rapina di un orologio d’oro. Valentina era sola in casa, ha aperto lei la porta al suo carnefice.

Il delitto della Cattolica

In mezzo a queste dieci morti c’è il delitto più celebre tra gli 11 rimasti irrisolti. La mattina del 24 luglio 1971 in un bagno del chiostro dell’Università Cattolica del Sacro Cuore viene massacrata l’ex studentessa Simonetta Ferrero, impiegata della Montedison.

Accade il sabato mattina: la ragazza era entrata nell’ateneo dove si era laureata l’anno prima e che ben conosceva, per rinfrescarsi in bagno dopo un giro di commissioni nei dintorni. Una tappa imprevista. Nessuno sapeva che sarebbe andata nella vecchia università.

Intorno al bagno alcuni muratori stanno facendo dei lavori, utilizzano un potente martello pneumatico che copre ogni rumore. Simonetta incontra la morte davanti al lavello. Il suo sangue imbratta le pareti e persino il soffitto. Quella mattina nell’ateneo ci sono pochissimi frequentatori: teologi e ricercatori. Il custode non nota sconosciuti e neppure persone sporche di sangue.

L’assassino potrebbe essersi cambiato all’interno dell’università.

A trovare il corpo il lunedì mattina è un seminarista di 21 anni, entrato nel bagno delle donne per chiudere un rubinetto che qualcuno aveva lasciato aperto. E’ il rubinetto del lavandino che stava utilizzando Simonetta per rinfrescarsi. Verrà interrogato e scagionato. Poi scomparirà nel nulla, come altri giovani seminaristi che diverse ragazze avevano successivamente accusato di presunte molestie sessuali.

Seguiranno denunce anonime, lettere anonime, segnalazioni di mitomani: tra gli inquirenti si sospetta che la mano assassina sia quella di un religioso.

Qualcuno viene interrogato. Ma non ci saranno mai fermi e nessun indagato. E gli omicidi proseguiranno fino al 1975.

Per poi interrompersi improvvisamente.

La catena di delitti si ferma in quel 1975, dietro restano 11 omicidi senza un motivo, senza un colpevole: 11 donne che a distanza di quasi mezzo secolo continuano ad attendere una risposta e una verità.

Per la giustizia italiana sono 11 delitti senza un collegamento tra di loro. Perché il Mostro di Milano non è mai esistito se non in un romanzo noir uscito nel 2017, dove un giallista milanese ha ricostruito questa intricata vicenda che gronda un sangue lontano ormai mezzo secolo…

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