Possesso in buona fede, chi può essere classificato come possessore in buona fede? Quali gli effetti?
Il legislatore definisce il possesso come il potere sulla cosa e consiste essenzialmente in un comportamento diretto al godimento e all’uso diretto di un bene.
Il possesso in buona fede corrisponde all’atteggiamento di colui che concretamente esercita un potere di fatto sulla cosa e inconsapevole di causare un danno a terzi.
In particolare, l’art. 1147 del codice civile sancisce che: È possessore di buona fede chi possiede ignorando di ledere l’altrui diritto. La buona fede non giova se l’ignoranza dipende da colpa grave. La buona fede è presunta e basta che vi sia stata al tempo dell’acquisto.
Cosa significa possedere in buona fede?
Il possesso in buona fede si verifica ogni qualvolta che il possessore ottenga un bene da altro soggetto che “apparentemente” risulti il legittimo proprietario del bene stesso. Per tale motivo, chi possiede è sicuro di aver ricevuto la cosa dal titolare del bene e agendo, così, in buona fede.
Il possessore in buona fede è, quindi, colui che privo di consapevolezza cade in errore. Siffatto errore, però, non può essere scusabile per ogni singola circostanza che andrà poi, successivamente valutata coso per caso.
Il codice civile, difatti, al secondo comma dell’art. 1147, prevede che la buona fede non giova se l’ignoranza di ledere l’altrui diritto deriva da colpa grave. La colpa del possessore ricorre, ogni volta in cui, agisce senza un minimo di diligenza e doverosa attenzione.
Il codice attribuisce al possesso in buona fede una particolare rilevanza. Al possessore di buona fede riconosce il diritto di fare suoi i frutti prodotti dal bene sino alla domanda di rivendicazione; il diritto ad una indennità per i miglioramenti apportati alla cosa e il diritto di ritenzione, ovverosia, di non restituire la cosa fino a quando non gli sia corrisposta l’indennità dovuta.