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statua della giustizia

Illecito internazionale: quando chi sbaglia è uno Stato

Un illecito internazionale è una violazione di una norma di diritto internazionale da parte di uno Stato, denominato offensore, nei confronti di un altro, chiamato offeso.

Quello relativo all’illecito internazionale è un ambito particolarmente dibattuto e che suscita molte perplessità, poiché il diritto internazionale non è sempre efficace su un piano pratico.

Illecito internazionale: i parametri soggettivi e oggettivi

Il parametri soggettivi

I parametri soggettivi dell’illecito internazionale sono molto semplici: può essere responsabile di un illecito internazionale soltanto uno Stato, vale a dire uno o più organi statali che in nome e per conto dello Stato agiscono.

Ma cosa accade quando gli illeciti dipendono da un abuso di potere o fuori dalle competenze degli enti od organi che hanno commesso il fatto? Ad esempio, cosa accade quando le forze di polizia assumono atteggiamenti contrari al diritto interno e contro gli ordini ricevuti? Lo Stato è responsabile per non aver preso misure idonee a prevenire. In altri termini l’omissione dello Stato nel non aver approntato le misure adatte a prevenire il fatto equivale ad una commissione.

I parametri oggettivi

L’elemento oggettivo è si articola in due elementi: la regola tempus regit actum e il principio del tempus commissi delicti che ne è diretta conseguenza.

Esso è escluso in vari casi: ad esempio il consenso dello Stato leso. Infatti, la maggior parte della dottrina in materia in questo caso non sussiste illecito in quanto ci sarebbe un accordo tra le Parti e dunque non si potrebbe verificare alcun illecito.

Tuttavia, c’è chi la pensa diversamente poiché il consenso ha natura prettamente unilaterale e dunque un accordo non prefigurerebbe comunque un illecito da cui escludere la responsabilità.

Gli altri casi sono quelli dell’autotutela, della forza maggiore e dello stato di necessità. Mentre i primi due sono abbastanza pacifici, il terzo è molto discusso negli ambienti giuridici.

Infatti, mentre l’esclusione dell’illecito è sempre garantita in caso di distress (garanzia della vita degli individui affidati ad un individuo-organo) o di rischio della vita dello stesso organo o dei suoi membri, più incertezza regna per quel che riguarda gli interessi vitali dello Stato. Specialmente sull’uso della forza, vietata in gran parte dei casi dallo jus cogens, le questioni sono controverse. Non è mai stata data una definizione di “stato di necessità”, nonostante certi autori, escludendo l’applicazione della forza se non in casi estremi, ritengono che questo parametro sia adottato in rari casi se non mai.

La reazione di uno Stato ad un illecito

Secondo la dottrina internazionale, l’unica reazione all’illecito internazionale a cui lo Stato può ricorrere è l’autotutela. In questo caso il diritto internazionale capovolge il diritto interno, essendo in quasi tutti gli ordinamenti, italiano compreso, l’autotutela o vietata o limitata a casi isolati e del tutto eccezionali.

Per evitare che tale strumento si trasformi in una sorta di legge del più forte, essa viene limitata da accordi internazionali come la Carta delle Nazioni Unite che vieta l’uso della forza all’art. 2 paragrafo 4, per il quale: “I Membri devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza, sia contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite”.

Al di fuori del sistema di sicurezza collettivo previsto dal capo VII della Carta, il divieto ha forte efficacia, almeno teorica, in quanto la forza è permessa solo in caso di legittima difesa, essendo quest’ultima considerata come reazione ad un atto di aggressione altrui già sferrato mediante l’uso di forze armate, non importa se regolari, mercenarie o irregolari.

Fa discutere la concezione di guerra preventiva, vale a dire l’uso della forza dinanzi ad una minaccia di armi di distruzione di massa o di atti di terrorismo: gran parte della dottrina non la condivide, così come l’Assemblea Generale dell’ONU.

Contromisure: rappresaglia e ritorsione

Esclusa la guerra, la vera forma di autotutela a cui possono ricorrere gli Stati è la contromisura, consistente in comportamenti solitamente illeciti ma permessi in quanto cause escludenti l’illiceità. La contromisura incontra limiti generali ovvero:

  • proporzionalità rispetto all’illecito;
  • impossibilità di reagire violando lo jus cogens. Unica deroga a tale limite è rappresentata dalla risposta armata ad una identica aggressione;
  • rispetto dei principi umanitari.

Dalla contromisura si distingue la rappresaglia, solitamente riferita ad attacchi di natura armata, e la ritorsione, un comportamento di per sé non illecito ma soltanto inamichevole: ad esempio, la rottura dei rapporti diplomatici.

Restituzione e riparazione

La restituzione in ambito internazionale si può distinguere in restitutio in integrum (restituzione), la riparazione del danno, il risarcimento e, figura più particolare, la soddisfazione.

La restituzione è definita come ripristino della situazione prima del verificarsi di un illecito (si pensi alla restituzione di navi, mezzi o persone straniere non lecitamente trattenute o detenute). Secondo gran parte della dottrina, la restituzione non ha carattere obbligatorio ma è spontanea.

La soddisfazione è la riparazione di danni morali o comunque non pertinenti a sfere patrimoniali, tanto che può essere richiesta anche a prescindere da un’eventuale domanda di risarcimento danni. Solitamente consiste in prestazioni simboliche come l’omaggio alla bandiera, presentazione di scuse e manifestazioni simili. Anche la soddisfazione non ha carattere obbligatorio ma spontaneo e la si può paragonare ad una sorta di accordo tacito tra le due parti: qualora lo Stato leso la accetti, l’illecito decade, almeno secondo la prassi.

L’unica vera forma di riparazione è il risarcimento dei danni, di carattere obbligatorio. I danni risarcibili devono essere di tipo materiale. Solitamente, a meno che non sia espresso da accordi e convenzioni, come la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, gli Stati non risarciscono direttamente gli individui ma il risarcimento avviene fra Stati.

Molto dibattuta è l’ipotesi del risarcimento derivante da fatti leciti. In genere si sostiene che il diritto internazionale, non conosca una responsabilità così sofisticata, ma che, laddove lo sia, essa operi soltanto tramite convenzioni pattizie. È il caso dei danni provocati dal lancio di oggetti spaziali, regolarmente disciplinato con accordi.

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