Avviso per i lettori: se queste righe dovessero apparirvi come una promozione, non vi sbagliate, lo è. Ma fossimo in voi continueremmo a leggere, soprattutto se per sbarcare il lunario vi occupate di investigazioni private, in tutto o in parte.
Ciò che intendiamo promuovere, invogliandovi alla partecipazione, è infatti il seminario organizzato da StopSecret Magazine "Le indagini difensive nel processo penale" – Case history: il caso dell’omicidio di Perugia e Raffaele Sollecito”, che si terrà il prossimo 18 ottobre a Milano.
Perché partecipare?
Chi lavora nel settore lo sa bene: l'agognata parità delle armi nel processo tra accusa e difesa è ben lungi dall'essere concretizzata, e tra i maggiori squilibri che affliggono il rapporto tra le parti troviamo proprio il potere di disporre, da parte dei pubblici accusatori, degli organi di Polizia Giudiziaria.
Nel corso del seminario esamineremo le norme che consentono all'avvocato difensore di poter svolgere le investigazioni, i limiti e le opportunità che queste rappresentano.
Scopriremo il supporto che possono dare alle indagini oltre che l'investigatore privato, le nuove tecnologie investigative, il biologo forense, il dattiloscopista e l'attività di computer forensic.
E poi, anche se non è il motivo principale, perché c'è Raffaele Sollecito. Il cui caso giudiziario, grazie alla sovrabbondante copertura mediatica ricevuta, ha assunto valore paradigmatico da almeno due punti di vista.
Primo: si tratta di una perfetta dimostrazione delle contraddizioni operative in cui si dibatte la giustizia penale italiana, con indagini affidate, a volte, al giudizio e alle preferenze soggettivi degli organi inquirenti, spesso portate avanti sulla base di una tesi, attente più a evitare agli investigatori un “vergognoso” passo indietro che a tutelare i diritti del cittadino, individuare il vero colpevole e non un colpevole, analizzare con dedizione tutte le ipotesi possibili.
Secondo: Perugia dimostra che anche trovandosi apparentemente schiacciati da questo meccanismo tragicamente kafkiano, c'è la possibilità di uscirne. E questa chance può passare per l'articolo 327-bis del Codice di Procedura Penale, secondo il quale l'avvocato difensore “ha facoltà di svolgere investigazioni per ricercare e individuare elementi di prova a favore del proprio assistito per l'esercizio del diritto di difesa, in ogni stato e grado del procedimento, nell'esecuzione penale e per promuovere il giudizio di revisione”. Attività che possono essere svolte dal sostituto, da investigatori privati autorizzati e, quando sono necessarie specifiche competenze, da consulenti tecnici.
Ecco perché abbiamo interpellato l'imputato: Raffaele lo racconterà in prima persona, come appendice a un incontro eminentemente formativo e operativo. Non tutti lo sanno, ma la sentenza che lo ha assolto dall'accusa di aver ucciso, insieme ad Amanda Knox, la compagna d'appartamento di quest'utima, Meredith Kercher, è stata raggiunta anche – o soprattutto – grazie all'impegno degli investigatori e consulenti incaricati dagli avvocati difensori, che sono riusciti a “smontare”, o quanto meno a dimostrare la labilità oppure la contraddittorietà delle prove a sostegno del castello accusatorio.
Parleremo di tutto questo perché si tratta del nostro lavoro? Certo, ma anche perché, sullo sfondo, c'è una pesante questione di civiltà giuridica. Anzi, poiché incide direttamente sui più fondamentali diritti individuali e come testimonierà Raffaele Sollecito con il suo racconto, di civiltà e basta.
di Cosimo Cordaro
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