Un’ordinanza della Cassazione del 7 marzo scorso ha fatto ulteriore chiarezza su quando il coniuge tradito può chiedere il risarcimento danni al giudice
Il risarcimento danni in caso di tradimento può essere richiesto soltanto se il fatto ha rovinato la reputazione del coniuge tradito, ovvero se il tradimento è stato consumato alla luce del sole o è diventato oggetto di chiacchiere e maldicenze. È quanto emerso (e ribadito) dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 6598/2019 del 7 marzo scorso. Al centro della vicenda c’è un uomo che, dopo essersi separato dalla moglie, ha saputo da quest’ultima che aveva avuto una relazione extraconiugale con un collega di lavoro. L’uomo è andato su tutte le furie e ha presentato domanda di risarcimento danni al Tribunale in quanto la scoperta della relazione dell’ex moglie gli avrebbe provocato “un disturbo depressivo cronico”. Nella richiesta di risarcimento l’uomo ha inserito anche l’amante e perfino il loro datore di lavoro, che, a suo dire, non avrebbe effettuato una “provveduta vigilanza sui propri dipendenti”.
La richiesta è stata respinta sia in Tribunale che in Corte d’Appello. Imperterrito l’uomo ha presentato ricorso in Cassazione, allorché il giudici della Corte Suprema hanno confermato quanto stabilito precedentemente, ovvero che la violazione della fedeltà coniugale non è sufficiente per riconoscere il diritto risarcitorio del partner tradito. Nello specifico, il tradimento non è stato causa della rottura coniugale, poiché “la moglie ha svelato al marito la sua relazione con il collega di lavoro mesi dopo la loro separazione”. Inoltre, la scoperta del tradimento non ha gravato sulla reputazione del coniuge tradito, “in quanto non era noto neppure nell’ambiente circostante o di lavoro, e comunque non posto in essere con modalità tali da poter essere lesivo della dignità della persona”.
Per quanto riguarda l’amante e il datore di lavoro, la domanda è stata respinta anche qui. Il comportamento dell’amante non è sanzionabile, poiché l’uomo ha “semplicemente esercitato il proprio diritto alla libera espressione della propria personalità, diritto che può manifestarsi anche nell’intrattenere relazioni con persone sposate”. Per quanto riguarda il datore di lavoro invece, egli non ha nulla a che vedere con la vicenda. Anzi, se avesse sorvegliato i propri dipendenti sarebbe incappato nella violazione della privacy altrui, reato punibile per legge.