L’intercettazione di comunicazione tra presenti in un luogo di privata dimora è consentita esclusivamente se sussiste il fondato motivo di ritenere che in quei luoghi si stia svolgendo l’attività criminosa.
L’utilizzo di un captatore per intercettare una comunicazione tra presenti nel domicilio altrui o in luogo di privata dimora è un argomento spinoso che contrappone le esigenze investigative di giudici, avvocati e investigatori privati e i diritti fondamentali dei cittadini in materia di privacy. In merito a quest’ultimo aspetto infatti, gli articoli 14 e 15 della Carta Costituzionale sanciscono l’inviolabilità del domicilio e quindi della vita privata e famigliare altrui e l’inviolabilità della libertà e della segretezza della corrispondenza e di ogni altra comunicazione.
Tuttavia, di recente, la questione è stata oggetto di riforma attraverso l’emanazione del decreto legislativo n. 216 del 2017, riportante il titolo “Disposizioni in materia di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, in attuazione della delega di cui all’art. 1, commi 82,83, lettere a) b) c) d) ed e), della legge 23 giugno 2017 n. 103”, che sancisce l’ammissibilità delle intercettazioni domiciliari qual’ora in suddetto luogo si stia svolgendo attività criminose di cui all’articolo 266 del codice di procedimento penale. Va sottolineato però che l’uso del captatore per registrare una comunicazione tra presenti è autorizzato anche se non vi è motivo di ritenere che nei luoghi suddetti si stia svolgendo attività criminosa in quel dato momento, ma sussistono i presupposti che possa compiersi.
Nei procedimenti relativi alla criminalità organizzata ad esempio, l’intercettazione domiciliare è consentita “anche se non vi è motivo di ritenere che nei luoghi predetti si stia svolgendo l’attività criminosa”, ex articolo 13 del d.l. n. 152 del 1991. In particolare i giudici hanno escluso che sia possibile compiere con tali mezzi delle intercettazioni nei luoghi indicati dall’articolo 614 del codice penale al di fuori della disciplina derogatora per la criminalità organizzata dettata dall’articolo 13 del decreto legge n. 152/1991, posto che all’atto dell’autorizzazione non è possibile prevedere i luoghi di privata dimora nei quali verrà introdotto il dispositivo elettronico né, di conseguenza, effettuare un adeguato controllo circa l’effettivo rispetto del presupposto che in detto luogo “si stia svolgendo l’attività criminosa”.