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Intercettazioni: quando il dialetto diventa un problema nei processi

In Italia, l’uso del dialetto può complicare il corso della giustizia, soprattutto nelle intercettazioni, dove non esistono prassi comuni e un percorso formativo unico e obbligatorio per i trascrittori. Un fenomeno che sta sollevando molti interrogativi e perplessitò e che ha portato a gravi errori giudiziari e a condanne ingiuste.

Il dialetto nelle intercettazioni: errori e lacune nel sistema giudiziario

In Italia, i dialetti sono una componente fondamentale dell’identità culturale di molte regioni. L’uso del dialetto nei processi giudiziari non è un fenomeno nuovo, ma sta emergendo con maggiore frequenza, specialmente nelle regioni dove le lingue locali sono ancora largamente parlate e utilizzate nel quotidiano. Tuttavia, quando il dialetto entra nelle aule di tribunale, e in particolare nelle intercettazioni, possono sorgere problemi significativi, come eccessivi ritardi nei processi, errori giudiziari e condanne ingiuste.

Diversi casi, anche recenti, hanno evidenziato come il dialetto nelle intercettazioni possa ulteriormente ostacolare la comprensione delle testimonianze e complicare il lavoro di giudici e avvocati. Esso, infatti, aggiunge un ulteriore livello di complessità nelle trascrizioni delle intercettazioni, le quali tra le altre cose non sono soggette a una regolamentazione univoca e specifica.

In Italia, non esiste un albo dei trascrittori forensi e nemmeno delle linee guide sulle modalità di esecuzione di questa attività. I trascrittori non sono dei professionisti certificati e nella maggior parte dei casi sono sottopagati e precari. Senza contare, che le trascrizioni possono essere affidate anche alla polizia giudiziaria o a periti incaricati dalle parti, creando maggiore confusione e possibilità di errore in fase di traduzione.

Errori nelle trascrizioni: il caso di Angelo Massaro

Negli ultimi anni, ci sono stati diversi episodi in cui la traduzione del dialetto ha portato a complicazioni nei procedimenti giudiziari. Un esempio emblematico riguarda Angelo Massaro, arrestato nel 1996 con l’accusa di aver ucciso un uomo, Lorenzo Fersurella, in provincia di Taranto. Massaro fu condannato per il fraintendimento di una frase che aveva pronunciato alla moglie al telefono, una settimana dopo la scomparsa di Fersurella.

L’uomo disse in dialetto “Sto portando stu muers” che in pugliese significa “sto portando qualcosa di pesante”. Tuttavia, nei verbali muers diventò muert, ossia morto. Massaro ha trascorso più di vent’anni in carcere per una consonante mal scritta. Situazioni simili si sono verificate anche in altre regioni d’Italia, come in Campania, Calabria e Sicilia, dove il dialetto può differire significativamente anche tra paesi e località vicine. È il caso di un’altra vicenda giudiziaria in cui la trascrizione di una conversazione in sanseverese, il dialetto di San Severo, nel foggiano, richiese molto tempo e notevoli difficoltà.

Tutte queste circostanze hanno sollevato nel corso degli anni profondi interrogativi, non solo sulla necessità di disporre di trascrittori forensi preparati e competenti, ma anche sull’introduzione di regole chiare e strumenti adeguati che facilitino l’interpretazione e la traduzione dei dialetti nelle intercettazioni. Come si è visto, infatti, l’approssimazione o la mancanza di comprensione degli stessi potrebbe influenzare l’esito del processo, mettendo in discussione la credibilità della giustizia stessa.

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