Fabio Sanvitale e Armando Palmegiani raccontano dettagli e notizie inedite a proposito del serial killer che tagliava le ciocche di capelli alle sue vittime.
Abbiamo Intervistato i due autori a proposito del loro libro “Il caso Elisa Claps. Storia di un serial killer e delle sue vittime”, uscito nelle librerie il 31 ottobre.
Fabio Sanvitale, giornalista investigativo, docente e scrittore, esperto di cold cases, assieme ad Armando Palmegiani, esperto della scena del crimine, hanno voluto far luce sul caso Elisa Claps, indagando sui personaggi coinvolti, analizzando le storie personali e le caratteristiche psicologiche di Danilo Restivo, il serial killer.
Siamo nel 1993, a Potenza, quando la ragazza, una studentessa, viene uccisa. Solo nel 2017 il corpo è stato rinvenuto nel sottotetto della Chiesa della Santissima Trinità. L’assassino è Danilo Restivo, un amante respinto, un serial killer, dicono i giornali, con il “vizio di tagliare ciocche di capelli alle ragazze”.
Il corpo di Elisa Claps è stato trovato solo 17 anni dopo la sua morte. Un caso eclatante, sul quale i due scrittori decidono di lavorare, per non dimenticare Elisa, per evidenziare questo esempio di indagini sbagliate, di depistaggi, di errori giudiziari, i testimoni che sbagliano, una parte della comunità di Potenza che si discosta e pare disinteressata all’accaduto, insomma, un libro che vuole entrare nel profondo della vicenda, una vicenda che gli autori definiscono “un caso unico nel panorama internazionale”.
Da giornalista e scrittore investigativo quale lei è, nonostante la necessaria distanza professionale che impone il mestiere, viene comunque coinvolto emotivamente nello scrivere un libro come questo? Ed è un limite o un valore aggiunto per la buona riuscita dell’opera?
Palmegiani: Credo sia un valore aggiunto. Quando racconti certe storie è difficile rimanere freddo e distaccato. Comunque hai a che vedere con esseri umani come noi, un impasto di bene e di male come noi: solo che in proporzioni diverse. Per cui è quasi impossibile non entrare in risonanza, anche perché certe dinamiche psicologiche che vedo nei “miei” assassini sono esattamente le stesse che ho io. Quello che cambia è solo la risposta. Se si ha l’onestà di ammettere questo, si ha una possibilità in più di capire il crimine; che poi ovviamente mi presenta il conto in termini di emozioni, insonnia, pensieri. Fa parte del gioco.
Quanto pensa potrebbe agire la comunità e più in generale la società su problematiche di un certo tipo? Perché nella presentazione afferma che parte della comunità di Potenza si sia completamente discostata ed allontanata dal fatto accaduto?
Sanvitale: Potenza è una piccola città di provincia dove tutti si conoscono ed è facile arrivare alle alte cariche. Quando alla città gli è esplosa in mano la storia di Elisa Claps, hanno pensato subito a come potevano difendersi dai giornalisti che sempre più facevano notare lo scarso coinvolgimento di parte della città. Ovviamente non tutti i potentini si sono tenuti a distanza; c’è chi ha parlato a bassa voce della vicenda, ci sono stati i mille occhi che hanno scrutato chi arrivava in città per capire. Ma ci sono stati anche tanti che hanno offerto solidarietà, che sono andati alle marce per avere giustizia, ai funerali, che hanno messo fiori e si sono indignati. Però non può non colpire come tante persone sapessero dov’era il cadavere di Elisa da anni e non abbiano pensato nemmeno a una lettera anonima, pur di far cessare lo strazio dei Claps. Una parte della città s’è sentita messa in discussione e si è chiusa. Quindi una comunità può fare molto, nel bene e nel male, quando succede un caso come questo.
Quanto influisce la personalità ed il carattere di un individuo quando questo compie un omicidio? Ci sono caratteristiche comuni in coloro che compiono questo tipo di delitti (i cosiddetti serial killer)? Se sì, quali?
Palmegiani: La personalità e il carattere fanno tanto, sono le caratteristiche innate di ciascuno di noi e su quelle c’è poco da fare: nasciamo così. Ma ogni persona, criminale e non, è l’impasto di elementi innati con elementi ambientali (la famiglia, la scuola, gli amici, il lavoro, le esperienze, l’educazione). Questa miscela può portare (al netto di elementi psichiatrici, che sono rari a trovarsi) chiunque di noi a virare verso il Bene o verso il Male. Lo stesso accade per gli assassini seriali: loro vivono come noi, ma rispondono diversamente ai problemi di tutti. Alcuni hanno avuto vite drammatiche dall’infanzia, ma non è sempre così: altri infatti sono perfettamente integrati. Pochi sono psichiatrici: alle volte c’è un disturbo mentale, ma questo raramente implica un’incapacità di intendere e di volere. Alla fine possiamo dire che loro, a differenza nostra, forniscono risposte abnormi perché sono sovrastati da problemi che non sanno gestire: la solitudine, la paura, il desiderio. Se le esperienze in famiglia, nella vita, finiscono con l’aggravare queste difficoltà, se non hanno imparato l’empatia, se esiste una propensione alla violenza, se insomma si verificano una complessa e fortunatamente rara serie di circostanze, queste persone potranno pensare che uccidere sia una soluzione, per quanto temporanea. Uccidendo l’altro è come, secondo me, se uccidessero il problema. E, in fondo, se stessi.
Perché in particolare vi siete concentrati su questo caso? Cosa l’ha colpita in particolare di questa vicenda? Cosa vi ha spinti a voler approfondire e raccontare proprio la morte di questa ragazza?
Sanvitale: Per me ed Armando Palmegiani la vicenda di Elisa Claps rappresenta la sfida di voler capire cosa c’è nella testa di Danilo Restivo, l’assassino, per quanto possibile. E poi, volevamo approfondire il suo secondo omicidio, quello commesso in Inghilterra, di cui in Italia si sa poco. Indagando su questi due omicidi ci siamo imbattuti in Potenza, e qui abbiamo cercato di capire perché la città abbia reagito in modo così particolare e in parte molto provinciale a questa vicenda. Posso dire che tutto il libro è un tentativo di trovare risposte a una vicenda così paradossale. Perché tutto il caso Claps è assurdo: una vicenda che poteva essere chiusa in 17 ore è durata 17 anni. Volevamo capire perché, cosa non ha funzionato. E pensiamo di esserci riusciti. E poi, era ed è giusto non dimenticare Elisa.