La conservazione e la cancellazione dei dati a seguito dell’attività investigativa
In tema di Privacy, ovvero della legge 196 del 2003, uno dei problemi che maggiormente attanagliano l’investigatore privato è quello inerente alla conservazione e la cancellazione dei dati.
Una volta conclusasi l’indagine e consegnata al cliente la famosa relazione compresa degli allegati, cosa può trattenere in ufficio l’investigatore di questa mole di dati acquisiti?
- L’art. 10 del Codice di deontologia e di buona condotta per i trattamenti di dati personali effettuati per svolgere investigazioni difensive” rubricato come “Conservazione e cancellazione dei dati” prevede al suo primo comma che ”Nel rispetto dell'art. 11, comma 1, lett. e) del Codice i dati personali trattati dall'investigatore privato possono essere conservati per un periodo non superiore a quello strettamente necessario per eseguire l'incarico ricevuto”.
Tale comma prevede pertanto che i dati devono essere distrutti nel momento in cui si conclude l’esecuzione dell’incarico.
- Al secondo comma sempre dello stesso articolo viene affermato che “Una volta conclusa la specifica attività investigativa, il trattamento deve cessare in ogni sua forma, fatta eccezione per l'immediata comunicazione al difensore o al soggetto che ha conferito l'incarico, i quali possono consentire, anche in sede di mandato, l'eventuale conservazione temporanea di materiale strettamente personale dei soggetti che hanno curato l'attività svolta, a i soli fini dell'eventuale dimostrazione della liceità e correttezza del proprio operato”. Questo comma riprende in parte quanto già affermato dal primo ovvero che il trattamento, conclusa l’indagine deve immediatamente cessare in ogni sua forma e quindi si devono distruggere i documenti, si devono cancellare i file sul computer ecc.
Unica eccezione, se così la si vuole chiamare, riguarda la facoltà del difensore nelle indagini “penali” o del cliente nelle indagini “civili” di consentire all’investigatore privato di conservare temporaneamente il materiale strettamente personale degli agenti che hanno svolto l’indagine, ai soli fini della dimostrazione eventuale a terzi della correttezza e della liceità del trattamento.
- In ultimo il terzo comma prevede che “La sola pendenza del procedimento al quale l'investigazione è collegata, ovvero il passaggio ad altre fasi di giudizio in attesa della formazione del giudicato, non costituiscono, di per se stessi, una giustificazione valida per la conservazione dei dati da parte dell'investigatore privato”. Ergo il procedimento giudiziario civile o penale, non giustifica la tenuta dei dati, una volta conclusasi l’indagine.
A questo punto la domanda che ci si pone è, ma il conferimento dell’incarico, almeno quello, posso tenerlo? Dal tenore letterale della norma parrebbe di no però nella mia esperienza giurisdizionale con il Garante, ovvero nelle controversie in cui ho assistito un investigatore privato dinnanzi al Garante della Privacy, ho sempre prodotto il mandato anche se l’indagine si era conclusa parecchi anni prima. Anzi il mandato è proprio stato il documento che mi ha permesso di mostrare la liceità e la correttezza del trattamento, e così uscendo vittorioso nella controversia.
Per cui a seguito delle numerose cause in tema di privacy aventi ad oggetto l’illecito trattamento dei dati personali, posso affermare senza ombra di smentita che il conferimento dell’incarico non solo si possa trattenere indefinitamente ma che sia un valido strumento per difendersi in sede giurisdizionale dinnanzi al Garante della Privacy il quale molto spesso lo richiede espressamente, mentre tutto l’altro materia va distrutto.
di Roberto Gobbi – Studio Legale Gobbi & Partners
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