Secondo quanto stabilito dalla legge, il compito di verificare se uno dei due coniugi lavora in nero spetta al giudice o alla controparte, per mezzo di un investigatore privato
Nei casi di separazione, uno dei due coniugi si trova a fronteggiare le spese di mantenimento nei confronti della parte economicamente più debole della coppia. Il calcolo dell’assegno mensile viene effettuato dal giudice che è chiamato a verificare la disparità economica tra i due ex coniugi. Tuttavia, può capitare che una parte, nonostante dichiari un reddito inferiore, abbia delle entrate da un lavoro irregolare. Secondo quanto stabilito dalla Cassazione, lo stipendio “da lavoro nero” contribuisce a incrementare le disponibilità economiche di una persona, indipendentemente dal fatto che non vengano versati i relativi contributi. Sulla base di questo, il giudice può negare o ridurre l’importo dell’assegno di mantenimento.
La legge concede ai giudici il potere di disporre di indagini tributarie dalle quali potrebbe emergere un accertamento fiscale. Nella fattispecie, i giudici possono arrivare a presumere il reddito dell’interessato sulla base del suo tenore di vita. Tutt’al più, se il coniuge che richiede gli alimenti detiene le capacità fisiche e di salute di inserimento nel mondo del lavoro, il mantenimento può essere negato ab origine. In questo senso, il giudice può ricorrere a indizi, o meglio “presunzioni”, al fine di valutare le effettive capacità del soggetto di inserirsi nel mondo del lavoro, tenendo presenti le reali condizioni del mercato alla luce dell’età, del grado di istruzione e delle esperienze lavorative pregresse.
Un altro modo per provare che l’ex coniuge lavora in nero è quello di avvalersi di un investigatore privato. In questo caso l’onere spetta alla controparte. Va considerato tuttavia, che la relazione finale dell’investigatore non vale come prova, ma dev’essere avvallata dalla testimonianza dello stesso in sede giudiziaria. Infine, in alcuni casi il giudice può richiedere l’intervento della polizia tributaria, poiché il lavoro nero non vale solo come prova per il diritto all’assegno di mantenimento, ma costituisce anche il più grave “reato di evasione fiscale”.