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La giustizia riparativa: una nuova frontiera del diritto penale?

La giustizia riparativa viene concepita come un paradigma di giustizia a sé stante, autonomo, innovativo, spendibile in ogni stato e grado del procedimento e volto a rinnovare alla radice l’approccio e la risposta al crimine.

Giustizia riparativa: definizione e visione generale

Dare una definizione di giustizia riparativa è essenziale perché l’istituto lancia una sfida importante, ovvero di “superare la logica del castigo, muovendo da una lettura relazionale del fenomeno criminoso, inteso primariamente come un conflitto che provoca la rottura di aspettative sociali simbolicamente condivise. Il reato non dovrebbe più essere considerato soltanto un illecito commesso contro la società, o un comportamento che incrina l’ordine costituito – e che richiede una pena da espiare – bensì come una condotta intrinsecamente dannosa e offensiva, che può provocare alle vittime privazioni, sofferenze, dolore e persino la morte e che richiede, da parte del reo, principalmente l’attivazione di forme di riparazione del danno provocato” (così A. Ceretti, in Giustizia riparativa e mediazione penale. Esperienze pratiche a confronto, Guerini e Associati, 2001, p. 307 e ss.).

Anche la Direttiva 2012/29/UE, che contiene norme minime in materie di diritti,

assistenza e protezione delle vittime di reato, sottolinea il fatto che “il reato non è solo un torto alla società ma anche una violazione dei diritti individuali delle vittime”.

La questioni fondamentale, dunque, non è più (o non più soltanto) chi merita di essere punito e con quali sanzioni, ma chi soffre e cosa può essere fatto per riparare il danno, non necessariamente in termini di contropartita economica.

Concentrarsi sulla vittima, però, non deve distogliere l’attenzione dal reato inteso come un fenomeno complesso, implicante un gamma ampia e articolata di variabili che interessano tutti coloro che ne sono coinvolti.

Quindi, la riparazione non può che essere concepita come complessivo riequilibrio, ai vari livelli, del danno nella sua dimensione globale anche in un’ottica di prevenzione di danni futuri

I riferimenti essenziali per una definizione

Nonostante molte delle definizioni più che proporre una vera e propria nozione di giustizia riparativa, tendano ad offrire una cornice in cui si collocano prassi e procedure a cui viene generalmente riconosciuto carattere riparativo, nondimeno si possono considerare quali punti di riferimento essenziali:

  1. i Basic principles on the use of restorative justice programmes in criminal matters, elaborati dalle Nazioni Unite, per i quali “la giustizia riparativa è qualunque procedimento in cui la vittima e il reo e, laddove appropriato, ogni altro soggetto o comunità lesi da un reato, partecipano attivamente insieme alla risoluzione delle questioni emerse dall’illecito, generalmente con l’aiuto di un facilitatore. I procedimenti di giustizia riparativa possono includere la mediazione, la conciliazione, il dialogo esteso ai gruppi parentali e i consigli commisurativi”;
  2. la nozione contenuta nella Direttiva 29/2012/UE, per la quale si intende giustizia riparativa un qualsiasi procedimento che permette alla vittima e all’autore del reato di partecipare attivamente, se vi acconsentono liberamente, alla risoluzione delle questioni risultanti dal reato con l’aiuto di un terzo imparziale.

Sono altresì rilevanti, sotto il profilo definitorio, le linee-guida per la Better Implementation of Mediation in the Member States of the Council of Europe, dove si fa ancora una volta riferimento ai restorative justice processes (inclusa la mediazione) che possono servire come alternativa alla giustizia convenzionale e come strumento per la gestione dei conflitti, stanti le loro potenzialità riparative e di prevenzione-contenimento della recidiva.

La prospettiva dell’azione riparatoria

La riparazione, che si realizza tramite azioni positive, è molto più complessa del mero risarcimento. Infatti, essa non deve essere intesa in una prospettiva compensatoria e di indennizzo, ma come un’azione cerca di “aggiustare” l’irreparabilità, ineliminabile, di un gesto antigiuridico e rilancia, al contempo, la possibilità di progettare un agire responsabile per il futuro.

Dunque, attraverso i programmi di giustizia riparativa non si ripara il danno, ma si progettano azioni consapevoli e responsabili verso l’altro, che possano ridare significato, laddove possibile, ai legami fiduciari fra le persone.

Come più sopra specificato dalle norme internazionali, i programmi di giustizia riparativa hanno come obiettivo la reintegrazione della vittima e del reo, affinchè entrambi i soggetti siano coinvolti nella progettazione di un’azione che guarda al futuro come persone integre, e non sminuite per sempre dall’esperienza della colpa e dell’offesa.

La Raccomandazione R (2010) del Comitato dei Ministri agli Stati Membri sulle Regole del Consiglio d’Europa in materia di probation, definisce la giustizia riparativa a partire dai suoi contenuti operativo-funzionali: essa comprende approcci e programmi basati su diversi postulati:

  1. riparazione, per quanto possibile, del danno provocato alla vittima;
  2. gli autori di reato devono riuscire a comprendere che gli atti da loro commessi non sono accettabili e che hanno reali conseguenze per la vittima e per la società: essi possono e devono assumersi la responsabilità delle loro azioni;
  3. possibilità per le vittime di reato di esprimere i loro bisogni e di essere associate alle riflessioni che mirano a determinare come l’autore di reato deve riparare, al meglio, il danno che ha causato;
  4. partecipazione della comunità al processo descritto ai punti più sopra.

L’approccio, incentrato sul rapporto reo-vittima-comunità e focalizzato principalmente sulla riparazione del danno provocato dal reato e sulla responsabilizzazione del reo, non può non confrontarsi con la dimensione della complessità che coinvolge le relazioni tra le parti in gioco e le rispettive difficoltà e aspettative.

Le caratteristiche dei programmi di giustizia riparativa

Perché un programma possa essere considerato come percorso di giustizia riparativa, sono imprescindibili:

1.         partecipazione attiva di reo, vittima e comunità alla gestione degli effetti distruttivi prodotti dal comportamento deviante e alla soluzione del conflitto nascente dal reato. In altri termini, le persone coinvolte partecipano a un percorso dialogico di riconoscimento nel quale viene restituita dignità ai vissuti e alle narrazioni di ciascuno, ove tutti i soggetti presentano il propri punti di vista in relazione al reato e come hanno vissuto l’azione illecita;

2.         il “riconoscimento della vittima”, e “la riparazione dell’offesa nella sua dimensione globale”: deve quindi essere presa in considerazione anche la dimensione emozionale dell’offesa, i sentimenti sociali che ne derivano e che causano in chi è vittima la perdita del senso di fiducia negli altri e la nascita di un vissuto di insicurezza individuale tale da indurre persino a modificare le abitudini di vita;

3.         autoresponsabilizzazione del reo: il percorso prospettato di giustizia riparativa dovrebbe condurre il reo a rielaborare il conflitto e i motivi che lo hanno causato, a maturare un concetto di responsabilità verso l’altro. Quindi, in conseguenza di questo processo, a percepire la necessità di riparazione. Nei percorsi, gli autori di reato possono esplorare il significato e il contenuto della norma violata in modo concreto e non astratto attraverso l’ascolto della vittima che narra la propria esperienza;

4.         coinvolgimento della comunità nel processo di riparazione, non soltanto quale destinataria di politiche di riparazione ma anche quale attore sociale nel percorso di pace che muove dall’azione riparativa del reo. La qualità del coinvolgimento dell’opinione pubblica è dunque essenziale anche per far maturare l’idea di una nuova “sicurezza” da non ricercare necessariamente nella repressione;

5.         consensualità: i programmi di giustizia riparativa richiedono il consenso consapevole, informato, spontaneo e revocabile delle parti, avente ad oggetto le fasi dell’iter, la partecipazione alle esperienze di mediazione face to face, ai conference group, alle mediazione con vittima aspecifica ecc., e gli eventuali accordi riparativi e/o risarcitori;

6.         confidenzialità della mediazione: implica che l’incontro di mediazione sia protetto ed impedita qualsiasi forma di diffusione all’esterno dei suoi contenuti. In questo modo si permette un dialogo pieno tra le parti in un clima di fiducia, la trattazione del conflitto nel suo complesso e in tutte le sue implicazioni, facilitando quindi il raggiungimento di forme di riconoscimento reciproco e di riparazione;

7.         volontarietà dell’accordo raggiunto tra le parti: gli accordi che nascono dai programmi di giustizia riparativa debbono essere conclusi volontariamente sebbene sotto la guida dei mediatori, e non possono scaturire da decisioni prese altrove (per esempio dall’autorità giudiziaria); gli impegni riparatori devono rispondere ai criteri di ragionevolezza e proporzione.

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