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La linguistica e l’evoluzione digitale della scrittura. Intervista alla grafologa e linguista Forense Désirée Fioretti

L’evoluzione digitale sta crescendo: produciamo sempre più documenti in formato elettronico. Ed è qui che entra in gioco la linguistica forense, ossia lo studio scientifico delle forme linguistiche applicato a scopi e contesti forensi.

Non esiste mai un linguaggio simbolico senza ermeneutica; là dove un uomo sogna e delira, un altro uomo si fa avanti per interpretare.” Potremmo partire dell’affermazione del filosofo Paul Ricoeur per introdurre il contesto della linguistica forense. Oggi il mondo documentaristico sta procedendo verso la digitalizzazione più innovativa e a volte, anche all’interno del settore forense e delle investigazioni, non basta saper analizzare un testo scritto, bisogna interpretarlo in tutte le sue sfaccettature e innovazioni. Da qualche anno l’Istituto Nazionale di Linguistica Forense si occupa di questo: diffondere, formare e investire su un’idea innovativa e tecnologizzante dei documenti. Ho intervistato la grafologa e linguista forense Désirée Fioretti, co-fondatrice con il professor Antonello Fabio Caterini, dell’Istituto di Linguistica Forese per saperne di più ed avere un confronto su questa innovativa e affascinante materia.

Che cosa è la linguistica forense e come si articola? 

“La linguistica Forense rappresenta un avanzamento della grafologia. Possiamo contestualizzarla come l’applicazione della linguistica a scopi forensi che consegna indicazioni a differenti situazioni, il tutto su base linguistica. In realtà, le applicazioni sono tantissime perché vanno dalla psicolinguistica, alla sociolinguistica, all’analisi pura testuale con stilistica e stilometria, al rilevamento di specie. L’ambito principale di studio della linguistica forense permette di determinare l’autore di un testo scritto che ha bisogno di essere decifrato. Quindi, anche una mail o un messaggio su WhatsApp possono essere analizzati per determinarne la paternità. È possibile così utilizzare un qualsiasi testo digitale come prova forense, con la certezza di avere alla base il rigore scientifico di secoli di studio della lingua.”

Quali sono le attività che rientrano nella linguistica forense e il suo uso in Italia? Oggi con la continua digitalizzazione la linguistica forense può essere un aiuto in più? 

“Personalmente, mi sono avvicinata alla linguistica forense da qualche anno proprio perché da grafologa mi sono chiesta se, effettivamente, qualcuno ancora scrivesse a mano e quindi come fare a determinare se una lettera anonima scritta al computer possa appartenere a qualcuno dei sospettati oppure no. È così che ho conosciuto la linguistica forense, chiedendomi «Quale sarà il futuro della grafologia?». La digitalizzazione ha permesso alla linguistica forense di evolvere e aiutare in maniera precisa e puntuale a determinare tante situazioni in dubbio. La linguistica forense, oltre a determinare l’autore di un testo, può rilevare l’hate speech, determinare il plagio, aiutare nelle indagini contro l’antiterrorismo, e in generali in tutte le questioni che riguardano la lingua.”

Lei è cofondatrice dell’Istituto Italiano di Linguistica Forense. Vogliamo spiegare di cosa vi occupate e perché?  

“Tutto è nato in piena pandemia. Proprio in un momento fermo e apatico, con il Professor Antonello Fabio Caterino abbiamo fondato la SILF, che identifica la Società Italiana di Linguistica Forense, ad oggi ente di ricerca riconosciuto e che abbiamo portato avanti fino a dar vita a questo Istituto; quindi da un lato la ricerca e dall’altro la startup innovativa. Crediamo fortemente che la linguistica forense sarà una parte importante del futuro nelle scienze forensi italiane. Noi, anche per via del software di analisi testuale che stiamo sviluppando, stiamo facendo ricerca, ma ne servirebbe molta di più. Ancora siamo lontani dal diffondere in maniera capillare questa disciplina multidisciplinare, ma è ciò su cui stiamo investendo anche con le Università, che chiedono sempre più la possibilità di collaborare con il nostro istituto. Per diffondere la disciplina in maniera efficace e scientifica, abbiamo anche fondato una scuola di linguistica forense, per formare dei tecnici capaci e con una conoscenza che non sarà solo teorica ma anche pratica.”

Linguaggio inclusivo, linguaggio di genere e Schwa. Quanta strada ancora c’è da fare? 

“Per un linguaggio di questo tipo l’Italia e l’italiano non sono pronti. Vorrebbe dire sedersi a tavolino e ricostruire la nostra grammatica. Perché non si può pretendere di sostituire uno schwa al maschile sovraesteso senza “danni collaterali“. In realtà, c’è questa teoria secondo cui il generalizzato sia sinonimo di cultura patriarcale e maschilismo, che rappresenta non inclusività ed esclusione delle donne e dei generi non binari; ma non è così. È semplicemente un’evoluzione della lingua che è entrata nei secoli nell’uso comune, non è stata una decisione presa da un giorno all’altro, come invece pretenderebbero gli inclusivisti. Non si può forzare un uso della lingua adeguandola soprattutto alle situazioni. Secondo il mio punto di vista, non è fattibile imporre agli italiani di imparare una nuova grammatica: così facendo si creerebbero disagi a livello linguistico (morfologico, sintattico, fonetico, ect), oltre che aumentare divari sociali. Con il Caterino, stiamo ultimando il libro ‘Non ə come sembra. La non inclusività del linguaggio inclusivo’ che uscirà i primi di agosto, proprio per dare voce anche a chi da questo linguaggio verrebbe escluso.”

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