È stato l’ultimo sovrano di Milano, cinque secoli dopo Ludovico il Moro. Senza scettro, senza corona e senza trono, ma con il potere e il denaro per comandare sotto la Madonnina, anche se solo per qualche anno. Perché la sua ascesa è stata rapida come il passaggio di una cometa nel cielo milanese.
Quello di Francesco Turatello, ribattezzato Francis per la sua vicinanza all’America, oggi è un nome sconosciuto ai più, anche a Milano: lo ricordano solo le persone mature, quelle che hanno una memoria diretta dei turbolenti anni ‘70.
Gli anni del Re di Milano, delle sue notti dedicate al denaro e al gioco, del suo lato oscuro.
Da Lambrate a ‘Signore delle bische’
La vicenda di Francesco Turatello, nato sull’Altopiano di Asiago nel 1944 da padre ignoto, cresciuto a Milano nel quartiere popolare di Lambrate, comincia nei bar di periferia: pugile dilettante, fisico imponente, da ragazzo le suona a tutti.
Ha carisma, fegato e cervello, con i pugni inizia a farsi strada sui marciapiedi.
Tenta una breve sortita nel mondo del lavoro onesto, apprendista in un negozio di tappeti, ma il richiamo dei soldi facili del crimine lo attira. Stringe amicizia con un altro ragazzo sveglio di periferia, un garzone di un bar, Michele Carlo Argento, e insieme iniziano la canonica trafila malavitosa: furti, pestaggi, estorsioni, rapine.
Il salto di qualità con l’inizio degli anni ‘70: Milano gode di un perenne boom economico, ma la città è piombata nel terrore di proteste cittadine quotidiane di operai e studenti, tute blu e bandiere rosse, scontri di piazza e attentati nella scia di sangue innescata dalla bomba di piazza Fontana del 12 dicembre 1969.
Milano vive tensioni sociali e politiche quotidiane, ma la gente con i soldi, e di soldi ne girano tanti, ha comunque voglia di divertirsi e questa è la grande intuizione di Francis Turatello, che vuole portare l’America sotto la Madonnina e sogna di fare di Milano una Las Vegas.
In pochi mesi l’ex pugile lambratese a suon di omicidi e pestaggi, con una banda formata dal vice Argento e da una serie di criminali catanesi, mette le mani sulle prime bische cittadine, azzerando la concorrenza, abbinandole a tutto quanto vuole la clientela: ristoranti di lusso, dancing, prostituzione, cocaina.
La Milano di notte è la sua Milano, al confine tra legalità e illegalità, facendo scorrere un fiume di denaro sotto gli occhi di una città che lo asseconda e lo ribattezza ‘Faccia d’angelo’.
Gli appoggi della malavita a Turatello
A favorire la rapidissima scalata di Turatello, conosciuto negli ambienti criminali come il ‘Biondo’ per il ciuffo chiaro o ‘Cicciobanana’, per il vezzo di pettinarsi alla Elvis, sono gli appoggi della criminalità organizzata. Non sarà mai appurata la sua discendenza diretta dal boss americano Frank Corona, ma Cosa Nostra americana lo sostiene, come la Mafia a guida palermitana.
Turatello si circonda di malavitosi quasi tutti catanesi, farà affari e imprese criminali, come rapine a portavalori o sequestri di persona, anche con la temuta banda dei Marsigliesi e la nascente banda della Magliana, trovando sponde anche nell’estrema destra di Ordine Nuovo. In quegli anni nei suoi night si esibirà il cantante Franco Califano, con cui stringerà una forte amicizia.
A meno di 30 anni Milano è nelle sue mani e nei suoi locali, gestiti da prestanome, e nelle sue bische, ogni sera bazzicano professionisti, imprenditori, avvocati, politici, tutti pronti a ossequiare ‘Faccia d’angelo’.
La guerra con Vallanzasca e il declino
La svolta nell’ascesa criminale di Turatello arriva nell’estate 1976, quando ha 32 anni: il 26 luglio da un ospedale cittadino evade lo sconosciuto rapinatore Renato Vallanzasca, che in poche settimane metterà a ferro e fuoco la metropoli con assalti alle banche e sequestri di persona, diventando il bel Rene’ per la stampa nazionale.
Vallanzasca forma una ‘batteria’ di evasi e latitanti che di giorno rapinano e di notte scialano milioni tra cocaina e pupe nei night, finendo per pestare i piedi alla banda Turatello. Scoppia una guerra tra i due gruppi, con inseguimenti e sparatorie notturne, lasciando morti e feriti sull’asfalto, aumentando inevitabilmente la pressione delle forze dell’ordine sulle due bande rivali.
Vallanzasca finisce in manette il 10 febbraio 1977, Turatello due mesi più tardi, il 2 aprile: lo catturano in Cordusio, a bordo di una A112, mentre sta andando a farsi sistemare il ciuffo da un parrucchiere del centro.
Anche dal carcere ‘Faccia d’angelo’ riuscirà per oltre un anno a gestire gli affari notturni, grazie al fidato vice Argento e all’avvocato Calafiore, ma nel 1978 il primo viene ucciso in uno scontro con la Polizia e il secondo da sicari della nuova organizzazione di Angelo Epaminonda, un ex collaboratore di Turatello, che riesce a sottrargli l’impero delle bische grazie anche all’appoggio della nuova cupola siciliana governata dai corleonesi.
Tra il 1978 e il 1979 la banda Epaminonda, con il suo braccio armato, la squadra di sicari chiamata gli ‘Indiani’, annienta quella di Turatello con una serie di omicidi cruenti, facendo terra bruciata intorno al boss di Lambrate.
Il matrimonio con Vallanzasca e l’uccisione del Re di Milano
Rimasto senza uomini e senza appoggi Turatello ripiega sull’ex nemico Vallanzasca, con cui, dopo una serie di chiarimenti, instaura un’inattesa ma solida amicizia nel carcere di Rebibbia che sfocia in un’alleanza, plastificata dal teatrale matrimonio dello stesso Vallanzasca, all’interno del carcere romano, con Turatello suo testimone di nozze. Di fatto è un matrimonio tra i due ex rivali che si contendevano le strade di Milano.
Ma ormai Turatello è al capolinea: nell’agosto 1981 un commando di quattro ergastolani lo circonda e lo massacra a pugnalate nel cortile di un carcere sardo di massima sicurezza, sventrandolo, addirittura sviscerandolo.
La corsa di ‘Faccia d’angelo’ termina in un lago di sangue a 37 anni, lasciando insoluti una serie di misteri, a partire dalla sua morte, voluta forse dai nuovi vertici mafiosi, dai corleonesi, o dalla nuova Camorra di Cutolo oppure determinata da sgarri avvenuti in carcere con altri detenuti.
Ma in tanti sussurrano che ad armare la mano dei suoi sicari possano essere stati i servizi segreti.
Il ruolo di Turatello nel sequestro Moro
Ancora all’apice del potere Turatello nel marzo 1978, rinchiuso in carcere a Cuneo, sarebbe stato avvicinato da uomini dello Stato per chiedere a lui, come a Buscetta e a Cutolo, di fare pressione sui brigatisti detenuti per avere informazioni sulla prigione di Aldo Moro.
Una collaborazione che Turatello avrebbe rifiutato, per non aiutare lo Stato, salvo poi condurre comunque delle sue indagini personali, acquisendo notizie sulla prigionia del leader democristiano e forse anche su chi aveva insabbiato notizie preziose per salvare lo statista, da qui la decisione da parte di organi deviati dei servizi di metterlo a tacere per sempre nel timore di ricatti o esternazioni.
Una verità impossibile da accertare, l’ultimo mistero legato ad un malavitoso noto per i modi esuberanti e guasconi negli ambienti notturni, ma taciturno con gli inquirenti e con i giornalisti che non gli hanno mai strappato una dichiarazione.