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di:  

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LA REGOLA DELL’OSINT – Open Source Intelligence

O meglio, la mancanza di regole. Perché l’attività di intelligence da fonti libere, nonostante la vastità e la delicatezza dei diritti e delle posizioni che interseca, si muove ancora in un Far West giuridico. Sarebbe ora di precisare che è necessaria l’autorizzazione ex art. 134 del TULPS anche per chi indaga nel virtuale.

Far perdere le proprie tracce, oggi, è virtualmente impossibile. E l’avverbio non è stato scelto a caso.

L’incubo di ogni investigatore che si rispettasse, in un tempo non troppo lontano – almeno per quelli cantati da cinema e letteratura – era proprio quello di smarrire il sottile fil-rouge di resti, segnali, ricordi che l’oggetto della propria caccia seminava nel corso della vita quotidiana.

Ai nostri giorni si tratta di una speranza, per il ricercato, l’indagato, il “pedinato”, su cui contare pochissimo, ahilui.

E non solo per l’ormai onnipresente sorveglianza CCTV, almeno in ambito urbano. Ma anche, soprattutto, a causa di quel mix di tecniche e accorgimenti che chiamiamo OSINT,  acronimo di “Open Source Intelligence” ovvero “Intelligence delle fonti libere”: si tratta della disciplina mediante la quale vengono raccolte informazioni per mezzo delle “fonti aperte”, cioè tutte quelle fonti di dominio pubblico accessibili a chiunque. Parliamo di riviste, televisione, registri pubblici, atti giudiziari e altro, ma, ovviamente, il punto cruciale della questione sono i social network e Internet in generale.

Il nostro mondo “virtuale”, come si spoilerava in apertura, ma nel quale disseminiamo ogni giorno – verrebbe da dire ogni secondo –  indizi, memorie, orme e vere e proprie ammissioni di colpa che possono provocare conseguenze molto reali e solide nella nostra esistenza “reale”, oltre a permettere in ogni caso di ricostruire gusti, spostamenti, idee, frequentazioni. Basta essere interessati, avere il tempo e sapersi muovere con disinvoltura tra i meandri del web ufficiale e magari, nelle pieghe e negli antri del dark web.

Torniamo al punto di partenza: qui e ora le prove e le testimonianze (quasi sempre tecnicamente indelebili) che da noi stessi o in collaborazione con entità terze spargiamo di continuo in rete facilitano e amplificano la portata di un’eventuale attività d’indagine in modo esponenziale, impensabile fino a pochi anni fa.

Bella vita per inquirenti, investigatori e detective di ogni forma, colore ed ente, privato o pubblico, quindi. La risposta è sì. Anche troppo. La riserva cade tutta su quella parolina: “investigatore”.

A chi, infatti, per legge è oggi consentito di curiosare e sfruculiare tra pubblici vizi e private virtù di un Citizen Kane qualsiasi, protetto nella propria privacy da sacrosanti limiti giuridici?

E quanti dati personali, quante informazioni profondamente legate alla privacy di uno o più singoli cittadini possono rimanere “attaccate” a una qualsiasi indagine OSINT?

Arriviamo al punto e chiudiamo: In gioco, nell’ambito delle investigazioni OSINT c’è quindi molto di ciò che giustifica il TULPS, nel suo “famigerato” articolo 134 a vietare, senza licenza rilasciata dal prefetto, ”opere di vigilanza o custodia di proprietà mobiliari od immobiliari e di eseguire investigazioni o ricerche o di raccogliere informazioni per conto di privati”.

È noto, però, come sul mercato operino al contrario diversi soggetti, non muniti della licenza, che si dedicano a questa attività. Hacker a contratto, professionisti dell’informatica, semplici “smanettoni”? Questi e altri, non è qui il punto.

Secondo noi i valori sono valori, la privacy è privacy e i diritti dei cittadini vanno tutelati alla stessa maniera nel mondo che possiamo toccare e in quello che raggiungiamo solo via PC, smartphone e tablet.

Chiediamo dunque che il legislatore sciolga questo nodo e le attività d’investigazione OSINT vengano presto garantite, a vantaggio di tutti e in capo alle persone che se ne occupano, dai requisiti ex articolo 134 del TULPS. Esattamente come il loro corrispettivo tradizionale.

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