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Lavoro irregolare in crescita in Italia: cosa prevede la legge? 

Il lavoro irregolare o in nero continua a proliferare nonostante le sanzioni per datori e dipendenti siano più severe. Ma cosa si rischia se si viene scoperti?

In Italia la Guardia di Finanza ha scoperto quasi 60mila lavoratori in nero nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2023 e il 31 maggio di quest’anno. Rispetto al periodo precedente la percentuale di lavoratori irregolari è cresciuta del 32%, causando un danno erariale di circa 3 miliardi di euro.

I numeri sul lavoro sommerso

I danni provocati dal lavoro sommerso sono seri e destano forte preoccupazione. Si tratta di un grosso problema che coinvolge sia i dipendenti che lo Stato.

Senza il versamento dei contributi previdenziali, il lavoratore non matura diritti fondamentali come la pensione, l’indennità di disoccupazione, e altri ammortizzatori sociali. In caso di infortunio o malattia, il lavoratore non avrà accesso a nessuna forma di assistenza economica, aumentando il rischio di trovarsi in una situazione di grave precarietà.

Oltre ad essere state denunciate più di 31mila persone, alla Corte dei Conti ne sono state segnalate 6.345, responsabili per aver frodato l’erario. Le indagini affrontate in materia sono state 19.674 in totale. I beni evasi sono raddoppiati: il valore complessivo delle operazioni, pari a 8,3 miliardi, è aumentato di tre miliardi e mezzo rispetto al periodo precedente di 4,8. La Lombardia è la regione italiana che, con una percentuale pari al 10,4%, ha il minor numero di lavoratori in nero. La Calabria, con un tasso del 22%, è quella che invece detiene il primato con il maggior numero di irregolari. Secondo lo studio della Cgia di Mestre il fenomeno nel 2021 ha portato a un giro d’affari da 68 miliardi di euro, e ha riguardato soprattutto il Sud Italia, dove la percentuale di lavoro sommerso si aggira attorno al 37%. Per quanto riguarda i settori al primo posto troviamo quello dei servizi alle persone con il 42,6%. Seguono quello agricolo con il 16,8% e quello delle costruzioni con il 13,3%.

Quali sono le sanzioni a carico del datore e quando non si applicano

Il datore di lavoro che impiega personale in nero deve pagare una sanzione amministrativa pecuniaria. Se con il Jobs Act le sanzioni sono passate dalla singola giornata lavorativa a una divisione per la durata dell’irregolarità, con l’entrata in vigore del D.L n. 19/2024 le pene sono state aumentate. Ecco come:

  • da 1.950 a 11.700 euro per ciascun lavoratore irregolare fino a 30 giorni di effettivo lavoro;
  • da 3.900 a 23.400 euro per ogni lavoratore irregolare impiegato da 31 a 60 giorni di effettivo lavoro;
  • da 7.800 a 46.800 euro per ciascun lavoratore irregolare impiegato da più di 60 giorni.

La sanzione è aumentata del 20% quando il datore impiega lavoratori extracomunitari in nero sprovvisti del permesso di soggiorno, in caso di recidiva nei tre anni precedenti e di minori che non abbiano ancora raggiunto l’età lavorativa. In questo caso specifico oltre alla sanzione pecuniaria si applica anche quella penale, che prevede una condanna da 6 mesi a 3 anni di reclusione più 5.000 euro di multa.

Tuttavia la sanzione non si applica se il datore spontaneamente mette in regola il lavoratore in nero per tutta la durata della sua collaborazione nell’azienda prima di un’ispezione o di un possibile accertamento.

Lavoro in nero: quali sono le possibili conseguenze per i lavoratori?

Oltre al datore, anche il dipendente può essere punito per la sua condotta. Al lavoratore che abbia mentito sul suo stato di disoccupazione può essere contestato il reato di “Falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico”, punito dall’art. 483 cp con la reclusione fino a due anni.

Nel caso il dipendente irregolare percepisca anche la Naspi o il Reddito di cittadinanza, potrebbe subire non solo delle azioni penali nei suoi confronti, ma potrebbe essere costretto a dover restituire le somme percepite indebitamente.

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