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Alla fine dell’anno scorso negli ambienti delle investigazioni private, delle informazioni commerciali e del recupero credito, si è fatto un “gran parlare” in relazione alla legge 12 settembre 2014 n. 132 rubricata come “Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell'arretrato in materia di processo civile.”
Più precisamente si è demonizzato l’art. 19 della citata legge, il quale è relativo alle “Misure per l'efficienza e la semplificazione del processo esecutivo”.
Prima di entrare nel vivo dell’articolo posto in esame, al fine di verificarne gli apporti normativi e assolutamente innovativi al codice di procedura civile, ritengo indispensabile per chiarezza espositiva rappresentare, ancorché sommariamente, il contenuto precettivo dell’odierno “processo esecutivo”.
Il processo de quo nasce principalmente nel momento in cui un creditore, nonostante i numerosi solleciti e magari una messa in mora del debitore ex art. 1454 C.C., non riesce ad escutere il proprio credito.
Quindi per avviare l’esecuzione il creditore deve ottenere dal giudice un “atto” che gli consenta di attingere forzatamente ai beni del debitore.
Al fine di introdurre il processo citato, l’art. 474 C.P.C. prevede appunto che “L'esecuzione forzata non può avere luogo che in virtù di un titolo esecutivo per un diritto certo, liquido ed esigibile.
Sono titoli esecutivi:
1) le sentenze, i provvedimenti e gli altri atti ai quali la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva;
2) le scritture private autenticate, relativamente alle obbligazioni di somme di denaro in esse contenute, le cambiali, nonché gli altri titoli di credito ai quali la legge attribuisce espressamente la sua stessa efficacia;
3) gli atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato dalla legge a riceverli”.
L’atto principale al quale la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva è quindi il decreto ingiuntivo, che è previsto dall’art. 633, al Capo I ‘Del procedimento di ingiunzione’ del Titolo I ‘Dei procedimenti sommari’, inserito nel Libro quarto ‘Dei procedimenti speciali’ del C.P.C..
Tale art. 633 è rubricato ‘Condizioni di ammissibilità’, e prevede che “Su domanda di chi è creditore di una somma liquida di danaro o di una determinata quantità di cose fungibili, o di chi ha diritto alla consegna di una cosa mobile determinata, il giudice competente pronuncia ingiunzione di pagamento o di consegna”.
Qualora il debitore, nonostante gli sia stato notificato il decreto ingiuntivo, non abbia onorato la propria obbligazione, il creditore dovrà successivamente intimarlo con un idoneo “precetto”, così come previsto dall’art. 480 C.P.C., ovvero con quell’atto “consiste nell'intimazione di adempiere l'obbligo risultante dal titolo esecutivo entro un termine non minore di dieci giorni, salva l'autorizzazione di cui all'articolo 482, con l'avvertimento che, in mancanza, si procederà a esecuzione forzata”.
Qualora anche questa intimazione avesse esito infausto, previa istanza si passerà allora al pignoramento previsto dagli artt. 491 e seguenti del C.P.C..
In particolare l’art. 492 prevede che “Salve le forme particolari previste nei capi seguenti, il pignoramento consiste in una ingiunzione che l'ufficiale giudiziario fa al debitore di astenersi da qualunque atto diretto a sottrarre alla garanzia del credito esattamente indicato i beni che si assoggettano alla espropriazione e i frutti di essi”.
E qui finalmente siamo arrivati al disposto della Legge12 settembre 2014 n. 132, la quale al suo art. 19 istituisce tra l’altro l’art. 492 bis C.P.C. rubricato ‘Ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare’. Per quanto ci compete e interessa in oggi, tale art. 492 bis afferma: “Su istanza del creditore procedente, il presidente del tribunale del luogo in cui il debitore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede, verificato il diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata, autorizza la ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare……..omissis..
…..omissis… il presidente del tribunale o un giudice da lui delegato dispone che l'ufficiale giudiziario acceda mediante collegamento telematico diretto ai dati contenuti nelle banche dati delle pubbliche amministrazioni o alle quali le stesse possono accedere e, in particolare, nell'anagrafe tributaria, compreso l'archivio dei rapporti finanziari, nel pubblico registro automobilistico e in quelle degli enti previdenziali, per l'acquisizione di tutte le informazioni rilevanti per l'individuazione di cose e crediti da sottoporre ad esecuzione, comprese quelle relative ai rapporti intrattenuti dal debitore con istituti di credito e datori di lavoro o committenti… omissis….
Quando l'accesso ha consentito di individuare più crediti del debitore o più cose di quest'ultimo che sono nella disponibilità di terzi l'ufficiale giudiziario sottopone ad esecuzione i beni scelti dal creditore.
Quando l'accesso ha consentito di individuare sia cose di cui al terzo comma che crediti o cose di cui al quinto comma, l'ufficiale giudiziario sottopone ad esecuzione i beni scelti dal creditore”.
Per proseguire l’iter pignorativo di questo povero creditore, che fino ad ora ha speso solo tanto tempo e tanto denaro per far valere il suo diritto, sempre l’articolo 19 della sopra citata legge istituisce l’art. 155 ter alle disposizioni di attuazione al C.P.C., il quale tra l’altro prevede che “Nei casi di cui all'articolo 492-bis, sesto e settimo comma, l'ufficiale giudiziario, terminate le operazioni di ricerca dei beni con modalità telematiche, comunica al creditore le banche dati interrogate e le informazioni dalle stesse risultanti a mezzo telefax o posta elettronica anche non certificata, dandone atto a verbale. Il creditore entro dieci giorni dalla comunicazione indica all'ufficiale giudiziario i beni da sottoporre ad esecuzione; in mancanza la richiesta di pignoramento perde
ef
ficacia”.
E fin qui tutto bene, nel senso che il debitore evidentemente e fortunatamente aveva dei beni aggredibili.
Ma cosa succede se l’ufficiale giudiziario non trova beni da escutere?
Ecco istituito, sempre dalla Legge 132/2014, l’art. 164 bis alle disposizioni di attuazione del C.P.C. che recita: “Infruttuosità dell'espropriazione forzata. – Quando risulta che non e' più possibile conseguire un ragionevole soddisfacimento delle pretese dei creditori, anche tenuto conto dei costi necessari per la prosecuzione della procedura, delle probabilità di liquidazione del bene e del presumibile valore di realizzo, e' disposta la chiusura anticipata del processo esecutivo”, con buona pace di tutti, debitore compreso. Tutto ciò però solo dopo che il creditore avrà saldato la parcella del proprio legale e pagato il relativo contributo unificato.
Ora, come può essere danneggiato l’investigatore privato, l’informatore commerciale o il recuperatore di crediti da questa nuova normativa?
Io penso solo ed esclusivamente nel caso in cui un creditore sia pazzo e ricorra alla ricerca dei beni da escutere solo una volta finito il processo esecutivo.
Questo creditore è pazzo perché metterebbe in moto la macchina del processo esecutivo anticipando, se è fortunato, qualche migliaio di euro di spese legali, i contributi unificati, i bolli e le imposte dell’Agenzia delle Entrate, per poi sentirsi dire dall’Ufficiale Giudiziario, trascorsi 7/8 mesi nella migliore delle ipotesi ovvero 1 anno in caso contrario, che non vi sono beni da escutere e che il processo si chiude.
Follia allo stato puro.
Il creditore minimamente avveduto (come oggi è la stragrande maggioranza) deve rivolgersi all’investigatore privato o all’informatore commerciale o al recuperatore di crediti, affinché svolgano le relative attività ai fini di verificare la presenza di beni aggredibili e la consistenza del patrimonio del debitore PRIMA dell’avvio del processo esecutivo per non esporsi DOPO ad un nulla di fatto (come troppo spesso ormai accade), aggravato dai costi e dai tempi di cui sopra.
Sempre in merito alla normativa di cui in epigrafe voglio rappresentare al lettore una nota di colore.
Personalmente mi sono recato, la scorsa settimana, presso gli Ufficiali Giudiziari di un Capoluogo di Regione molto importante del Nord Italia per avviare la procedura di cui all’art. 492 bis del C.P.C. in difesa di un mio assistito, ovvero per chiedere loro di procedere alla ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare.
La secca e incontrovertibile risposta degli Ufficiali Giudiziari del luogo è stata: “Mi spiace, ma non abbiamo neanche il computer con cui fare gli accessi previsti dalla norma, per cui si comporti come ha sempre fatto”.
Evviva.
Aveva ragione mia madre quando diceva che“tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare”.
Come procedere dunque?
Il legislatore del 2014, sempre per il tramite dell’art. 19 della citata normativa, con fare lungimirante ha istituito l’art. 155-quinquies ‘Accesso alle banche dati tramite i gestori’, il quale prevede che “Quando le strutture tecnologiche, necessarie a consentire l'accesso diretto da parte dell'ufficiale giudiziario alle banche dati di cui all'articolo 492-bis del codice e a quelle individuate con il decreto di cui all'articolo 155-quater, primo comma, non sono funzionanti, il creditore procedente, previa autorizzazione a norma dell'articolo 492-bis, primo comma, del codice, può ottenere dai gestori delle banche dati previste dal predetto articolo e dall'articolo 155-quater di queste disposizioni le informazioni nelle stesse contenute.”
Come dire “arrangiati”…….
Il bello però consiste nel fatto che quelle ricerche, che il creditore fino a ieri faceva per il tramite di un istituto specializzato, ora può eseguirle direttamente, ovviamente previa autorizzazione del Presidente del Tribunale.
Veramente non ho parole.
Assistiamo ancora una volta alla promulgazione di norme che se da una parte sorprendono per le innovazioni apportate, dall’altra fanno inorridire per i risvolti che contengono.
Quindi è stata creata una legge –con tutto il dispendio di soldi, di energie e di tempo che ne consegue-, e il risultato qual è? Che sono stati danneggiati gli investigatori privati e gli informatori commerciali che non svolgeranno più una parte -seppur residuale- della loro attività, ma è stato danneggiato anche il privato creditore, che non potrà ottenere le previste informazioni neppure dagli Ufficiali Giudiziari poiché questi ultimi, ancorché legittimati, non dispongono degli strumenti materiali per poterle reperire.
Avv. Roberto Gobbi – Segretario Generale Federpol
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