Abbiamo chiesto a Marcello Rendine, Cinofilo Forense, un breve panorama della cinofilia forense in Italia, un campo la cui realtà è diversa da quella che immagina il grande pubblico.
Quanto è cambiata la cinofilia forense da quando ha iniziato ad oggi?
Agli esordi della mia carriera parlare, in Italia, di “cinofilia forense” significava suscitare perplessità negli interlocutori istituzionali, quali Forze dell’Ordine o Magistrati inquirenti.
“Un cane? E cosa mai potrebbe fare di utile un cane, ai fini delle indagini?”, era il pensiero più o meno celato degli addetti ai lavori.
Sono stati necessari tanti anni di studio, di ricerche e – perché no – di porte mai aperte o sbattute in faccia per far comprendere l’effettiva utilità di “un cane”.
Negli anni poi, come sempre accade, tanta e sempre più gente ha deciso di percorrere la strada tracciata; sebbene, molto spesso, con grande improvvisazione, e con scarsa o nulla preparazione.
Secondo lei esiste o no, da parte dell’opinione pubblica, un’ aspettativa eccessiva verso quanto le unità cinofile possano risolvere un caso di scomparsa?
L’opinione pubblica, a mio avviso, è vittima di un’eccessiva infodemia che non sempre consente di orientarsi nella giusta direzione. Basti pensare ai talk show della cronaca nera. Ed i cani, con la loro immagine che “buca lo schermo”, sono stati adottati a supereroi in grado di risolvere qualsiasi intricato nodo. Non voglio, tuttavia, sminuire l’utilità dell’impiego dei cani nelle varie indagini; ma porre l’accento su vari fattori che inficiano il risultato del loro lavoro.
In primis la preparazione dell’unità cinofila, composta da un cane accompagnato dal suo conduttore che – non sempre – si mostra all’altezza del compito. E poi ogni scenario è un caso a sé stante: non vi è mai una situazione identica ad un’altra. Ma questo il pubblico non lo sa; o, forse, non vuole saperlo! L’intervento dei cani è sempre auspicato ed atteso come una manna dal cielo.
Ritiene necessaria una legge che disciplini a livello nazionale i requisiti del conduttore e del cane per le diverse attività che possono svolgere (mantrailing, ricerca cadaveri, ecc)?
Ad oggi, in Italia, la cinofilia è preda di tanti, troppi interessi. Accanto agli operatori qualificati ed individuati quanto meno per appartenenza alle Forze dell’Ordine, c’è una pletora di volontari che aspettano solo il momento giusto per scendere in campo.
Ma quanto poi questi volontari siano adeguatamente preparati ed affidabili non è dato misurarlo e, quindi, saperlo. Manca, infatti, nel nostro Paese una normativa che disciplini concretamente l’impiego delle unità cinofile.
Troppi enti di promozione, troppe sigle associative, troppi volontari. In altre parole, troppi interessi perché si giunga ad una seria regolamentazione. Qualcuno negli anni ha “inventato” delle certificazioni. Ma la cosa mi fa solo sorridere perché servirebbe capire dapprima chi certifica i certificatori. E, soprattutto, a quale standard si attengono i certificatori nell’espletare la loro attività. So bene di risultare molto impopolare con queste mie considerazioni; ma la mia non vuole essere una critica al singolo operatore; bensì ad un sistema che, ancora oggi, rifugge dal diventare un sistema, in assenza di una normativa di riferimento.
Qual è il percorso formativo che va svolto, oggi come oggi, dal conduttore e dal cane se si vuole intraprendere il suo lavoro?
Questa è la domanda che sempre mi vien fatta. E che, talvolta, pongo a me stesso.
In una mia pubblicazione scientifica di alcuni anni addietro mi piacque definire il cane come “dispositivo biologico specializzato”, proprio per riconoscere la particolarissima progettazione del suo essere, le sue incredibili potenzialità e la sua irrinunciabile utilità.
Studio l’olfatto ed il cervello del cane da tantissimi anni, rimanendone sempre più sorpreso ed emozionato. Per questo motivo, nelle mie lezioni dico sempre che avere al proprio fianco un cane non significa, quasi mai, essere in grado di condurlo.
Così come non si è piloti di Formula1 solo perché si acquista un’autovettura con quelle caratteristiche costruttive, con la medesima prudenza non ci si dovrebbe sentire conduttori cinofili per il sol fatto di avere un cane al proprio fianco.
Un pilota è un raffinato tecnico e conoscitore, prima ancora che un conducente.
E, al pari, un conduttore non dovrebbe mai arrogarsi la conoscenza del cane senza averlo mai approfonditamente studiato.
Insomma, per ambire a condurre un Crime Scene Detection Dog c’è tanta strada da percorrere.
Ma il primo passo è quello più importante! La vera approfondita conoscenza ed il rispetto del cane è, senza dubbio, il primo gradino di una ripida scalinata che conduce lassù al proprio sogno.
Foto di Gabriel Forsberg su Unsplash