Michele Profeta, il serial killer ‘delle carte da gioco’, resta uno dei più grandi misteri nel panorama criminale italiano moderno.
Assassino mosso dal movente economico e da una carica di odio per alcune categorie professionali, ma anche assassino giocatore, Michela Profeta era pronto a sfidare le istituzioni e le forze dell’ordine, nello stile dell’americano Zodiac, cui forse in parte si sarebbe ispirato.
Un uomo all’apparenza tranquillo, lontano da ambienti criminali, pacifico fino all’esplosione della follia omicidiaria con due delitti ravvicinati, distanziati di una decina di giorni, tra il gennaio e il febbraio 2001, commessi entrambi a Padova e rivendicati con carte da gioco, ed un terzo omicidio in preparazione prima della cattura.
Con tante domande rimaste senza risposta, dopo il suo arresto e la sua condanna definitiva all’ergastolo.
Chi era Michele Profeta, il serial killer delle carte
Michele Profeta, nato a Palermo nel 1947 ed emigrato in Veneto, era stato titolare di un’agenzia immobiliare fallita e in seguito un promotore finanziario con alterne fortune, prima di adattarsi ad altri lavori saltuari.
Un uomo con la passione del gioco d’azzardo, anche qui con alterne fortune, e una vita privata non semplice, con un primo ed un secondo matrimonio, con quattro figli, e a seguire un’amante che lo costringeva a dividersi tra la sua casa di Adria, dove abitava, e Mestre, dove incontrava quest’altra donna.
Una vita impegnativa e dispendiosa: Profeta amava il lusso, le belle auto, i vestiti su misura.
Vestiva così elegante da essersi guadagnato il soprannome di ‘Professore’.
Ed è stata proprio la mancanza di denaro ad innescare la sua follia omicida, insieme al livore maturato nei confronti di alcune categorie professionali, come gli agenti immobiliari e i tassisti.
Il ricatto, 12 miliardi per evitare il primo omicidio
Profeta mette a punto il suo folle piano criminale utilizzando la minaccia a scopo di estorsione pubblica allo Stato: il 10 gennaio del 2001 invia in Questura a Milano una lettera scritta con un normografo professionale con cui chiede 12 miliardi delle vecchie lire (oggi equivarrebbero a oltre 15 milioni) per evitare un omicidio di un cittadino incolpevole in una qualunque città italiana.
Utilizzando il metodo epistolare reso celebre in California da The Zodiac a fine anni Sessanta.
Il futuro ‘killer delle carte’ chiede che venga pubblicato un determinato articolo sul Corriere della Sera con dei determinati riferimenti.
Lo Stato ovviamente non può cedere di fronte ad una minaccia anonima e vaga, così Profeta il 29 maggio passa all’azione freddando a Padova il tassista Pierpaolo Lissandron (anche Zodiac nel 1969 a San Francisco aveva ucciso un taxista) colpendolo alla nuca, alle spalle, con una pistola Iver Johnson calibro 32.
Tre giorni più tardi, il primo febbraio, Profeta, per rivendicare il delitto, spedisce un secondo biglietto, scritto sempre con il normografo, alla Questura di Milano, firmato «Padova 1», con cui specifica che l’omicidio Lissandron non è stato conseguenza di una rapina, come ipotizzato dalla stampa e dagli stessi investigatori padovani, e di pubblicare sul Corriere della Sera un’inserzione per la ricerca di un operaio tornitore con 12 anni di esperienza, utilizzando il 12 dei miliardi richiesti.
Un omicidio che ricorda da vicino quello commesso da Zodiac l’11 ottobre 1969, nel quartiere di Presidio Heights a San Francisco.
Il secondo delitto padovano
Non avendo ricevuto risposta alla sua richiesta estorsiva il killer passa al secondo omicidio.
Incontra un primo agente immobiliare ma non trova l’occasione propizia per freddarlo: la mancata vittima sarà poi decisiva nel descriverlo e facilitarne la cattura.
Profeta cambia obiettivo, concordando con l’ignaro agente immobiliare Walter Boscolo un appuntamento, presentandosi con il nome di Pertini, per visitare un appartamento a Padova in via San Francesco dove si consuma il delitto, con la vittima colpita alla nuca dalla stessa pistola Iver Johnson: accanto al cadavere di Boscolo ci sono due carte da gioco, un re di quadri e un re di cuori, e una busta con un terzo biglietto: «Anche questa non è una rapina, contattate il questore di Milano».
La posta in palio restano sempre i 12 miliardi chiesti un mese prima.
La caccia e la cattura di Michele Profeta
Profeta pianifica un terzo delitto, fissa nuovamente a nome Pertini un appuntamento con un altro agente immobiliare.
Ma a Padova è scattato l’allarme, soprattutto tra le agenzie immobiliari, e la testimonianza del professionista scampato al secondo delitto, che descrive il ‘signor Pertini’ ricordando il suo atteggiamento nervoso e il fatto, sospetto, che non avesse mai tolto i guanti di pelle, indirizzano gli inquirenti sulla strada giusta.
I poliziotti risalgono scorrendo il traffico telefonico della seconda vittima, cercando il numero del signor Pertini, risalgono alla scheda telefonica utilizzata per fissare l’appuntamento con Boscolo, la stessa scheda con cui l’assassino avrebbe poi chiamato a casa, commettendo un errore decisivo, ignorando che si potesse controllare anche il traffico di una singola scheda.
Una volta individuato il nome di Michele Profeta l’uomo viene sorvegliato e il 16 febbraio, due giorni prima del nuovo appuntamento, scatta il blitz per arrestarlo.
Profeta viene fermato a Padova mentre sta guidando la sua Škoda rientrando da un colloquio di lavoro: la perquisizione della vettura porta al ritrovamento della terza carta da gioco, il re di fiori, e del normografo con cui aveva composto le precedenti lettere rinvenute dagli inquirenti.
Le successive perquisizioni nelle abitazioni del fermato porteranno ulteriori prove decisive contro l’ex agente immobiliare, tra cui la pistola utilizzata per i delitti, i proiettili e il mazzo di carte da cui mancano i tre re.
La condanna e la morte improvvisa di Michele Profeta
Dopo un’iniziale reticenza, e dopo essere stato riconosciuto dall’agente immobiliare scampato al secondo delitto, Profeta verrà trasferito nel carcere di Padova, dove cercherà di evadere, e quindi a Milano.
Condannato all’ergastolo morirà a San Vittore dopo appena due anni di detenzione per un improvviso attacco cardiaco.
In un memoriale scritto dopo l’arresto giustificherà i suoi omicidi con il movente della follia, parlando di ‘voci’ che gli chiedevano di uccidere, ma anche dalla volontà di spaventare e sfidare uno Stato che lo aveva trattato da nemico, richiamandosi a John Wayne.