Nazismo, Terzo Reich, Olocausto: queste le parole che caratterizzano il periodo storico più buio del Novecento. Come è possibile che degli esseri umani abbiano potuto compiere atti così brutali, in modo lucido e organizzato, contro altri esseri umani? Cosa passava nella mente dei gerarchi nazisti?
Milioni di persone soggiogate dalle idee farneticanti di Adolf Hitler, pronte a compiere dei crimini che hanno segnato la storia in modo indelebile. Uno sterminio di massa che ha provocato una ferita insanabile. Ma la crudeltà dei fedelissimi del Fuhrer era innata o provocata dalle condizioni ambientali e dal momento storico? E cosa ci racconta la loro personalità?
Lo abbiamo chiesto a Antonio Leggiero, criminologo investigativo e forense, autore del libro “Il profilo criminologico dei gerarchi nazisti” (MURSIA), cercando di capire, non certo per giustificare, ma per comprendere, come e perché degli individui, più o meno comuni, si siano trasformati in crudeli aguzzini.
Come nasce l’idea di scrivere questo libro e a quali fonti ha attinto per tracciare il quadro criminologico di alcuni dei più noti gerarchi nazisti?
È stato un lavoro impegnativo, ho fatto ricerche e recuperato materiale che non si trovava in Italia. Ne è nato un saggio innovativo che per la prima volta unisce ricerca storica e analisi criminologica. Fino ad adesso in Italia questo tipo di pubblicazioni non esisteva, mentre è comune in Gran Bretagna e negli Stati Uniti.
In questo volume ho unito le due mie grandi passioni: una è la storia e quindi la ricerca storica, non a caso avevo già dei saggi di storia militare alle spalle, l’altra è la criminologia.
Così ho pensato di portare in Italia questo tipo di lavoro e lo spunto mi fu dato indirettamente, anche se l’argomento era simile ma non analogo, da un libro di una di una collega penalista, Tania Crasnianski, intitolato “I figli dei nazisti”, pubblicato qualche anno fa poi diventato un best seller.
Così ho pensato di scrivere un libro sul profilo criminologico dei gerarchi nazisti, elaborato sulla base di ricerche d’archivio e documentazione di vario genere.
Di quali strumenti si avvalso nel tracciare il quadro criminologico dei gerarchi nazisti?
Mi sono rifatto, come dicevo, a del materiale sia d’archivio sia delle copie in circolazione su Internet o di tipo cartaceo, come i testi che furono somministrati ad alcuni gerarchi al processo di Norimberga, come i test di Rorschach e altri test sulla personalità, sottoposti dagli psichiatri ed esperti ai gerarchi a giudizio.
Naturalmente non tutti sono arrivati a Norimberga, pensiamo a Goebbels, Himmler e Bormann, in quel caso ho fatto una mia personale indagine sulla base dell’analisi comportamentale, potendo contare su alcune analisi personologiche contenute nel celeberrimo “Il volto del Terzo Reich” di Joachim Fest, uno dei massimi studiosi del nazismo.
Le personalità di Goebbels, Hess, Bormann, Speer, Himmler sono molto articolate, ma è possibile identificare una “radice del male” comune?
Una radice del male comune in tutti loro è possibile rinvenirla innanzitutto in una certa predisposizione che avevano alla violenza e alla crudeltà, già dal punto di vista strutturale, personologico, forse potremmo addirittura dire biologico, che fu naturalmente poi alimentata da quel veleno che veniva instillato loro quotidianamente da Hitler e dai centri di cultura del Terzo Reich.
Un altro tratto comune di quasi tutti è la mediocrità. Molti di loro erano imprenditori falliti, si pensi per esempio a Himmler che aveva aperto un allevamento di polli e aveva avuto un dissesto economico. Erano delle figure che nella società non avevano avuto alcun tipo di affermazione, tranne qualcuno.
Aspetto importante perché nutrì la frustrazione in questi soggetti che poi fu scatenata quando giunsero a degli incarichi di vertice che in un una condizione normale non avrebbero mai potuto conseguire.
C’era però qualche eccezione a questa mediocrità. Un esempio era Joseph Goebbels, una personalità malvagia e intrinsecamente votata al male, ma di una notevole intelligenza e preparazione. Un’altra personalità molto pragmatica e scaltra, nonostante fosse stata sottovalutata perché d’intelletto non molto elevato, era Martin Bormann.
Poi c’era Albert Speer, la personalità apparentemente più elegante e raffinata, un architetto che veniva da una famiglia benestante dove tutti erano architetti. Era molto diverso dalla massa, ma al tempo stesso cinicamente amorale. Condannato a Norimberga a vent’anni di reclusione, è stato uno dei più noti architetti tedeschi del mondo ed è morto quasi ottantenne nel 1981.
Colpisce il fatto che molti di loro pur inneggiando a un modello di uomo ariano perfetto fossero tutt’altro che attinenti a quel tipo di fisicità. Non è una contraddizione?
È vero, per un beffardo e grottesco paradosso, vaneggiavano una razza pura e perfetta, mentre molti di loro erano il ritratto della goffaggine e alcuni erano anche offesi, obesi o affetti da disturbi mentali conclamati, quindi tutto l’opposto di quello che loro propagandavano.
L’unico che faceva eccezione era Reinhard Heydrich, che effettivamente era slanciato, alto, biondo, con occhi celesti. E questi suoi tratti scatenarono l’invidia degli altri gerarchi, come Himmler, che odiavano la sua figura fisica, perché avrebbero voluto essere così, mentre non lo erano. Per questo andarono a scovare delle presunte ascendenze ebraiche in Heydrich per cercare di metterlo in cattiva luce.
C’è un gerarca che l’ha colpita più di altri e perché?
Sicuramente Albert Speer perché indubbiamente ha un certo fascino di uomo intellettuale, colto e architetto geniale, con modi che gli altri non avevano e un certo savoire faire, tanto che fu a torto anche definito il “nazista buono”.
Fece una carriera brillante per merito, anche se poi aiutato dalla fortuna. Riuscì a ingraziarsi il Fuhrer. Hitler gli permise tutto, anche quando decise di trasgredire ai suoi ordini e di non distruggere i nodi nevralgici della Germania come invece privisto dal “decreto Nerone”.
Non dobbiamo però dimenticare che anche lui ebbe le sue colpe. Commise dei crimini nel ‘43 e nel ‘44 quando diventato ministro agli armamenti, praticamente svuotò una montagna nel cuore della Foresta Nera, facendo lavorare in condizioni inimmaginabili oppositori del regime, ebrei e rom.
Ridotti in schiavitù, venivano obbligati a lavorare senza luce, senza aria, per cicli continui. Ne morirono decine di migliaia.
Speer ne era consapevole, ma pur di produrre gli armamenti per l’ultimo sforzo bellico della Germania consentì che questi crimini si commettessero.
A Norimberga non venne condannato a morte perché disse di non essere a conoscenza dei campi di sterminio. Probabilmente non era a conoscenza delle modalità con cui venivano uccisi gli internati, ma era certo a conoscenza dell’esistenza di questo arcipelago del male, tant’è vero che sono stati rinvenuti dei documenti con la sua firma, dove lui organizzava dei convogli di vettovagliamenti e viveri di sussistenza per il personale dei campi.
Simon Wiesenthal, ingegnere e scrittore austriaco di origine ebraica, superstite dell’Olocausto e forse il più noto “cacciatore di nazisti”, in una conferenza stampa negli anni Settanta gli disse che se si fosse saputo ciò che è stato scoperto successivamente sul suo conto, avrebbe ricevuto la condanna a morte.
Abbiamo visto quanto una certa predisposizione individuale alla violenza sia stata la base di comportamenti spietati, ma che ruolo hanno avuto i condizionamenti e le situazioni ambientali sulla scelta di commettere crimini tanto spietati?
C’è sicuramente una predisposizione personale e psicologica ma anche i condizionamenti e le situazioni ambientali hanno molto influito. Questi due aspetti si potenziavano a vicenda: l’inclinazione personale veniva nutrita con la propaganda della razza pura e superiore.
Stiamo parlando di una Germania che a inizio secolo stava attraversando in periodo di crisi e in questo contesto critico, ecco che arriva Hitler, un soggetto che indubbiamente aveva delle capacità istrioniche, sapeva trascinare le folle, prometteva loro il riscatto da una condizione miserrima. È chiaro che ha trovato un terreno fertile, è stato accolto con entusiasmo.
A questo aggiungiamo che i tedeschi constatarono poi che con Hitler effettivamente la Germania diventava sempre più grande e più potente. Giorno dopo giorno si convinsero che si trattava di una figura messianica per la quale molti iniziarono a provare un’autentica venerazione. Diciamo anche una venerazione perversa e fatale.