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Foto delle autrici del libro su omicidio di Yara Gambirasio

Omicidio di Yara Gambirasio, Bruzzone e Marinaro: “Nessun dubbio sulla colpevolezza di Bossetti”

L’omicidio di Yara Gambirasio ha tenuto con il fiato sospetto l’Italia intera e a distanza di anni continua a far parlare di sé. Bossetti si dichiara innocente: bugiardo o vittima dei un errore giudiziario? Ne abbiamo parlato con la giornalista Laura Marinaro, autrice assieme a Roberta Bruzzone di “Yara. Autopsia di un’indagine“.

Nata il 21 maggio 1997 e residente a Brembate di Sopra (BG), Yara Gambirasio, tredicenne all’epoca dei fatti, scompare misteriosamente il 26 novembre 2010. Il suo corpo senza vita verrà ritrovato dopo tre mesi, il 26 febbraio 2011, da un aeromodellista in un campo aperto a Chignolo d’Isola a 10 chilometri da Brembate.

Sul corpo di Yara vengono rilevati colpi di spranga, un trauma cranico e ferite da arma da taglio. Nel giugno del 2014, dopo aver effettuato test del DNA a oltre 25 mila persone, viene arrestato Massimo Giuseppe Bossetti, 44 anni, muratore di Mapello incensurato, il cui DNA nucleare è risultato sovrapponibile con quello dell’uomo definito “Ignoto Uno”, rilevato sugli indumenti di Yara.

Una storia che ha scosso l’opinione pubblica. Per cercare di far chiarezza su un caso molto discusso abbiamo intervistato Laura Marinaro, giornalista esperta di cronaca nera e giudiziaria, che insieme a Roberta Bruzzone, criminologa e psicologa forense, ha firmato il saggio Yara. Autopsia di un’indagine (Mursia).

Nel volume le autrici ripercorrono le tappe del processo che ha rivoluzionato l’utilizzo del DNA nelle indagini per omicidio e che ha portato all’arresto Massimo Giuseppe Bossetti.

Quello di Yara Gambirasio continua a essere un caso molto discusso. Cosa vi ha spinte a scrivere il “Yara. Autopsia di un’indagine”?

Il fatto che la narrazione che è stata fatta della storia non sempre ha corrisposto alla realtà. In pratica quello che all’esterno veniva raccontato, soprattutto in tv, del processo, era la versione della difesa soltanto e quindi ciò ha influenzato chi non leggeva i giornali (che invece riportavano le udienze) e non era presente ai processi, a credere un’altra versione della storia, ovvero che Bossetti sia il più grande errore giudiziario del secolo.

Il libro, che racconta proprio l’inchiesta e il processo attraverso le trascrizioni delle udienze e le sentenze, dice invece come è davvero andata.

Il caso di Yara ha fatto scoprire al vasto pubblico l’uso del DNA nelle indagini per omicidio, perché questo caso resta ammantato da dubbi e domande?

Non ci sono dubbi che quel profilo genotipico sugli slip e sui leggings della tredicenne sia di Massimo Giuseppe Bossetti e nel testo spieghiamo perché. Il punto è che in seguito alle condanne la sua difesa ha cercato di far credere che ci fossero errori nelle analisi. Leggerete che non è stato così, incontrovertibilmente.

Bossetti non ha mai confessato il delitto e ripetutamente si è parlato di riapertura del caso. Oltre al DNA, quali altri elementi provano la sua colpevolezza e quali sono le caratteristiche del profilo psicologico dell’uomo?

Non confesserà mai, ovvio. Lui, dal profilo di child molester regressivo nonché narcisista bugiardo patologico oggi si nutre in carcere della narrazione “favolosa” di vittima di un errore giudiziario e ciò lo mostra “accettabile” agli occhi dei figli, ad esempio. Ma sa bene che è solo un’ennesima favola.

Gli altri elementi o indizi gravi sono la presenza di calce nei polmoni di Yara, il suo furgone ripreso dalle videocamere di sorveglianza identificato come solo suo con comparazione di oltre 5000 furgoni, la mancanza di alibi data dalla moglie per quella sera, le ricerche sul pc di “ragazzine rosse con le vagine rasate” ecc.

Il libro è stato scritto partendo dagli atti giudiziari. Nel ripercorrere le indagini e il processo, quali criticità sono emerse e quali errori sono stati commessi? 

Un errore temporale fu commesso quando – dopo aver raccolto oltre 528 Dna di donne che in qualche modo avevano avuto contatti (non fisici) con Guerinoni, padre naturale di Ignoto Uno – si confrontò per errore il Dna di Yara e non quello di Ignoto Uno. Si perse dunque un anno nell’identificazione della madre che poi però arrivò nel giugno 2014.

L’unico errore iniziale nell’inchiesta, quando si brancolava nel buio e ancora non era stato ritrovato il cadavere, fu l’arresto di Mohamed Flikri per un errore di traduzione in una frase che aveva pronunciato al telefono. Dopo oltre 16 perizie si capì che non aveva parlato di Yara nella telefonata con un parente in patria ma di altro.

Il caso ha avuto e continua ad avere un grande seguito mediatico, questa attenzione di giornali e tv hanno contribuito a mantenere attenzione sull’omicidio, ritenete che abbiano anche al tempo stesso in qualche modo complicato le indagini?  

No, assolutamente. Inizialmente serviva tenere alta l’attenzione per ritrovare la bambina. E infatti quando Ilario Scotti, facendo volare il suo aeromodello nel campo di Chignolo, scoprì il cadavere, il fatto che tutti cercassero Yara fu determinante per l’identificazione.

Per il resto le indagini sono proseguite nel silenzio degli investigatori che per quattro anni non hanno dormito e solo quando c’era bisogno venivano date delle notizie. Ad esempio, quando venne fuori la storia di Guerinoni per cercare di tirare fuori il nome della mamma di Ignoto Uno.

Dopo l’arresto l’eco mediatica è stata solo dettata dal fatto che finalmente si aveva una fondata certezza di aver trovato il sospettato. Il problema si è avuto col processo: le telecamere non furono ammesse in aula e nemmeno i cellulari. Ma c’eravamo noi cronisti di giudiziaria e il pubblico a garantire la cronaca puntuale. Ovvio che la tv dava spazio solo a chi parlava e commentava le udienze, ovvero la difesa.

Il vostro è un testo che non fa sconti a nessuno. Come avete deciso raccontare questa inchiesta unica nel suo genere e quale messaggio vorreste arrivasse ai lettori? 

Lo abbiamo fatto attraverso la pura cronaca, mettendo al centro la vittima, troppo spesso dimenticata. Siamo partite dalla vittimologia, da chi fosse Yara, per arrivare a chi l’aveva ridotta così. Con onestà intellettuale.

Il messaggio è che spesso per comprendere bene le verità processuali bisogna conoscere il lavoro degli investigatori e gli atti e non basarsi sulle sensazioni di pancia o sugli opinionisti in tv.

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