Cosa succede quando l’intimità condivisa con il proprio partner si diffonde sul web?
Nella società contemporanea siamo sempre più connessi e i social network sono ormai parte integrante della nostra vita. Quanto è sicuro il web? E i contenuti che si pubblicano, possono essere poi cancellati? Con il termine Revenge porn, si intende la diffusione illecita di contenuti video intimi e privati senza il consenso della vittima.
La “porno vendetta” di solito avviene da parte di un ex e si concretizza con la pubblicazione di video e foto dai contenuti intimi. In realtà, parte integrante del problema riguarda la condivisione non consensuale di questo materiale, che riprende contestualmente anche un’altra persona.
La condivisone è una responsabilità
Un concetto che si sposa nell’ambito del Revenge Porn e di tutti quei reati che hanno come espansione il mezzo dei social è la viralità: più un contenuto è condiviso e visibile, più reca danno alla vittima. Quanto può essere social una nostra foto oppure un momento di intimità?
Mentre accade tutto questo, dimentichiamo che il contenuto una volta condiviso diventerà incontrollabile.
Una vera e propria violenza online con una conseguente disinibizione del popolo di navigatori, che si realizza con libere umiliazioni e cyber spettatori pronti ad accusare e giudicare quel video e chi lo ha girato. Ecco che il revenge porn apre la strada al fenomeno dell’hate speech dando vita a commenti ostili, odio e alterazione del danno.
Possiamo parlare anche del victim blanding altra categoria criminologica che punta il dito sulla donna vittima di tale violenza, utilizzando frasi come “si è cercata tutto questo” oppure “ma cosa pensava di fare” e qui l’elenco potrebbe essere lungo e anche spiacevole da riproporre.
C’è sempre un prima e un dopo questa condivisione
Il reato di Revenge Porn è stato inserito nella legislazione italiana con l’art. 612 ter c.p, che persegue la “diffusione illecita di materiale sessualmente esplicito” punendo sia il creatore del contenuto che condivide il materiale attraverso i social senza il consenso della vittima, sia il soggetto che riceve il video e a sua volta lo ricondivide.
La legge punisce il reato con la reclusione da uno a sei anni e una conseguente multa da 5.000 a 15.000 euro. La pena è aumentata se i fatti sono commessi dal coniuge (anche separato o divorziato) o da persona che è stata legata da relazione affettiva con la vittima; in danno di persona che si trova in condizione di inferiorità fisica o psichica o in danno di una donna in stato di gravidanza.
Il fatto è aggravato se compiuto tramite l’utilizzo della tecnologia.
Il consenso, parola sempre più pronunciata e forse abusata. Cosa può scatenare tutto ciò in una vittima?
La sintomatologia tipica è quella della vergogna unita all’ansia e alla paura dello stigma di chi ha visto.
La divulgazione potrebbe avere un impatto devastante sul soggetto che la subisce con conseguente evitamento, timore, sindrome post traumatica da stress unita a paure generali, fino ad arrivare anche ai problemi alimentari, come il rifiuto del cibo oppure l’ossessione dello stesso.
Una condizione emotiva e devastante invade la vittima subito dopo aver preso coscienza e in alcuni casi visto e documentato, le prove che questi video -girati in un momento di privacy- siano stati condivisi senza il loro consenso.
In alcuni casi le vittime possono anche decidere di togliersi la vita.