Il segreto investigativo ricopre un ruolo cruciale nel processo penale. La sua funzione è di garantire il corretto espletamento delle indagini senza interferenze esterne, tutelando i diritti di tutte le parti coinvolte.
Si parla di segreto investigativo quando gli atti d’indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria non possono essere conosciuti dall’indagato prima della chiusura delle indagini preliminari.
Il segreto investigativo, che oggi ha preso il posto del segreto istruttorio, è disciplinato dall’art. 329 del codice di procedura penale e serve per impedire interferenze esterne che potrebbero compromettere la raccolta di prove o permettere ai sospettati di adottare contromisure volte a ostacolare l’accertamento dei fatti. Consente di tutelare i diritti delle persone sottoposte ad indagine, impedendo la divulgazione prematura di informazioni che potrebbero nuocere alla loro reputazione o influenzare il giudizio dell’opinione pubblica.
Conosciuto come il segreto delle indagini preliminari, decade nel momento in cui il Pubblico Ministero mette l’indagato a conoscenza degli atti che lo riguardano. Può coprire singoli atti o una loro sequenza ma, generalmente, non può andare oltre la chiusura delle indagini preliminari. Nel rispetto dei limiti previsti dall’art. 114 c.p.p., il pubblico ministero può porre fine al segreto investigativo in diversi modi: tramite un invito a presentarsi per rendere l’interrogatorio, un’informazione di garanzia, un mandato di perquisizione o un ordine di custodia cautelare.
Differenze tra segreto investigativo e segreto istruttorio
Il segreto istruttorio è rimasto in vigore fino al 1989, anno in cui è stato abrogato in seguito all’emanazione del nuovo codice di procedura penale.
Come suggerisce la parola stessa, si tratta di un segreto garantito per l’intera durata dell’istruttoria e faceva parte del vecchio codice di procedura penale del 1930.
Il termine segreto istruttorio viene utilizzato impropriamente ancora oggi per riferirsi al segreto investigativo, il quale opera finché l’indagato non ha accesso agli atti. Quest’ultimo non è assoluto perché:
- non può estendersi oltre l’avviso di conclusione delle indagini;
- copre singoli atti d’indagine o una loro sequenza;
- decade per gli atti che il pubblico ministero decide di rendere noti all’indagato nei limiti di quanto previsto dall’art. 329 c.p.p., a meno che non sia necessario secretare uno o più atti tramite apposito decreto motivato.
Il 20 luglio 1990, con la sentenza n. 348, la Corte Costituzionale fu chiamata a pronunciarsi sul segreto in ambito giudiziario. In quell’occasione i giudici ribadirono l’importanza del diritto a essere informati, ma anche la garanzia preliminare che, rappresentata dal segreto, costituisce l’attuazione dello Stato democratico.
Segreto investigativo: in quali casi si può impedire la pubblicazione e quando è necessaria?
In deroga a quanto previsto dall’art. 114 c.p.p., il pubblico ministero può decidere tramite decreto motivato di divulgare singoli atti o parti di essi se ciò non pregiudica il buon esito delle indagini. Normalmente viene consentito in particolari casi di esposizione mediatica, per incentivare la collaborazione con le autorità o rassicurare l’opinione pubblica. Al contrario, può accadere che il pubblico ministero possa disporre l’obbligo del segreto o il divieto di pubblicare il contenuto di singoli atti quando ciò sia indispensabile per la prosecuzione delle indagini, anche quando gli atti di fatto non sono più coperti dal segreto.