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Sicurezza privata nei tribunali? Certo, ma affidandola con cura.

Forze dell’ordine sul territorio, privati a vigilare sui luoghi della giustizia. Tregedie e disagi si possono prevenire con efficacia, ma servono metodi di valutazione delle risorse condivisi e intelligenti.

2002, Tribunale di Varese, udienza di divorzio. Il marito spara diversi colpi di pistola e uccide la moglie.
Aprile 2015, Palazzo di Giustizia a Milano, Claudio Giardiello, al termine di un procedimento con rito abbreviato che lo vede imputato, uccide tre persone, tra cui il proprio ex avvocato, e ne ferisce altre due.
Settembre 2017, Perugia. Un uomo ferisce a coltellate due magistrati all’interno del Tribunale civile della città.

Per chiudere in leggerezza questa breve sfilata, dopo la cronaca nera, un episodio più leggero, di “semplice” malcostume, avvenuto in una nelle ultime settimane a Rovigo. Una giovane imputata, nei giorni scorsi, si è presentata davanti al giudice con il cagnolino in borsetta. All’intervento severo ma imperturbabile del magistrato, che ha continuato l’udienza facendo però presente come nelle aule non sarebbero ammessi animali, la donna ha dato in escandescenze verbali, tanto da provocare l’intervento delle forze dell’ordine.

Tutti questi episodi hanno in comune un dato: qualcosa che non avrebbe mai dovuto accadere negli edifici dedicati alla giustizia, potenziali obbiettivi di azioni violente sempre più sensibili e in teoria protetti e vigilati, e che invece è avvenuto. Nei casi elencati e in altri ancora.
Fa discutere, in questi giorni, la decisione di rimuovere gli agenti della penitenziaria impegnati a controllare i varchi di alcuni tribunali napoletani, per sostituirli con quelli di un’azienda di vigilanza privata. La decisione proviene dal Ministero della Giustizia e del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, i quali intendono dedicare i propri dipendenti ai compiti precipui per cui sono stati assunti e formati.
E qui arriviamo, quasi, al punto. Da una parte il ricorso alle guardie giurate non è una novità – si pensi infatti ai servizi privati già all’opera anche in occasione di alcuni tra i fatti citati in apertura- dall’altra parte è evidente che la delega del servizio a strutture imprenditoriali diverse dalla forza pubblica si configura, da tempo, come un’opzione obbligata. Il personale dei corpi armati statali deve e dovrà sempre più essere impiegato sulle strade, nella prevenzione e nell’opera di polizia giudiziaria e lotta alla criminalità, o alla cura delle carceri. Nonostante alcune “sparate” su ulteriori assunzioni straordinarie ad hoc, mosse da qualche politico, il fact-cheking, in questo caso, è impietoso: e le risorse dove le troviamo?
Già oggi le gare per l’affidamento del servizio si svolgono al massimo ribasso sui prezzi.

Ed ecco il cuore della questione. Con la sicurezza non si scherza, è vero. Ma neppure le agenzie private lo fanno: è il loro mestiere. Molte tra esse possono garantire un servizio impeccabile, contando sull’esperienza e sulla grande professionalità dei loro uomini e sulla disponibilità di tecnologie avanzate.
Ma occorre, quanto meno, aprire un percorso di confronto serio sul valore reale della vigilanza privata nel sistema di sicurezza del Paese, a partire dalle prerogative concesse agli operatori sul campo. Non si dimentichino naturalmente i contenuti dei bandi di gara appositi che, magari a scapito dell’estremo risparmio, debbono inderogabilmente prevedere, oltre al costo, la valutazione delle capacità tecniche e specialistiche di ogni azienda partecipante e, a priori, individuare un metodo condiviso ed efficace di giudizio preventivo sull’efficienza nel servizio offerto.

Le risorse tecniche e umane esistono. La disponibilità anche.
Il passo da fare, però è impegnativo: selezionare e scegliere con un criterio rigoroso e di merito e in modo trasparente ma soprattutto con metodo organizzato, mirato e professionale.

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