Un lavoratore è stato licenziato perché colpevole di aver usato in modo inappropriato il pc aziendale, provocando dei danni alla sicurezza in azienda.
Alcuni comportamenti scorretti da parte dei lavoratori possono comportare dei rischi alla sicurezza informatica in azienda e, talvolta, addirittura causare un attacco informatico. È il caso di un dipendente, un capo servizio con compiti di organizzazione e coordinamento di un’agenzia marittima, che durante l’orario di lavoro utilizzava il pc aziendale per prenotare viaggi e spettacoli, visitare siti pornografici e chat d’incontri per adulti. Questo comportamento, infatti, è stato la causa di un attacco informatico perpetrato ai danni dell’azienda per la quale lavorava.
Il malware, che ha infettato il suo dispositivo, ha criptato tutti i dati del disco del pc per poi propagarsi sulla rete aziendale, bloccando l’intero sistema. L’azienda, per ottenere il ripristino dei dati, ha dovuto pagare un riscatto ai cyber criminali. Tuttavia, in seguito ha avviato un’indagine interna per accertarsi delle cause dell’attacco. Dal controllo, effettuato da un consulente informatico e da un’agenzia investigativa, è emerso che i numerosi accessi, nonché la tipologia dei siti visitati, avevano messo in serio pericolo la cyber security aziendale. Inoltre, il lavoratore aveva inviato comunicazioni a nome dell’azienda, usandone abusivamente la carta intestata e apponendo firme falsificate. Per questi motivi, con la sentenza n. 494 del 6 agosto scorso, il Tribunale di Venezia ha ritenuto legittimo il licenziamento per giusta causa del dipendente.
Tramite questa decisione, i giudici ribadiscono anche la liceità da parte del datore di lavoro di effettuare controlli sui dispositivi in uso ai dipendenti. Ovviamente, nel rispetto di quanto stabilito dall’art.4 dello Statuto dei Lavoratori e in conformità con il Regolamento europeo per la protezione dei dati personali, al quale vi si aggiunge apposita informativa da consegnare ai lavoratori. In tal caso, l’azienda ha precisato di aver portato a conoscenza dei dipendenti le policy aziendali relative all’uso dei device aziendali tramite affissione nell’area relax e in una cartella presente nel server. A nulla è valsa dunque la difesa del ricorrente poiché, alla luce delle indagini e dalle fotografie postate sui propri canali social che lo ritraevano inequivocabilmente nei luoghi prenotati durante l’orario di lavoro, i giudici hanno legittimato il suo licenziamento.