Esattamente 45 anni fa, era la mattina del 16 marzo 1978, veniva rapito Aldo Moro e trucidata la sua scorta di cinque uomini delle forze dell’ordine. Un episodio su cui, ancora oggi, permangono troppi dubbi.
Il prologo del successivo rapimento durato 55 giorni culminato il 9 maggio con l’esecuzione dello statista democristiano il cui corpo sarebbe poi stato rinvenuto in Renault 4 rossa nella centralissima via Caetani.
Una mattina di sole primaverile
La mattina del 16 marzo a Roma si respira già l’aria di primavera anticipata. Quel 16 marzo c’è fermento nei palazzi istituzionali, è il giorno del varo del governo monocolore democristiano presieduto da Giulio Andreotti ma ideato dal presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro, che da due anni, dalle elezioni politiche del 1976, sta tessendo una tela con il segretario del Partito Comunista, Enrico Berlinguer, per un Governo democristiano ma sostenuto dall’esterno dai comunisti con il loro voto. Un passaggio epocale ma incerto quello del ‘compromesso storico’. È una mattina frenetica, di ultime trattative sui nomi dei sottosegretari.
Aldo Moro, che la sera precedente ha lavorato fino a tardi, è atteso alla Camera dei Deputati per il voto di fiducia. Esce dalla sua casa di via del Forte Trionfale intorno alle 8.45, atteso dalle due vetture della sua scorta: la Fiat 130 blu dove viaggia lo statista con due agenti e l’Alfetta bianca di supporto con altre tre uomini.
Quasi ogni mattina il presidente democristiano si reca nella vicina Chiesa di Santa Chiara per un momento di raccoglimento, con un percorso quasi sempre identico che prevede l’attraversamento di via Mario Fani con il passaggio dall’incrocio di via Stresa. È quello il punto scelto dal commando brigatista per quell’attacco la cuore dello Stato.
Perché proprio via Fani?
Oltre quattro decenni di processi, di inchieste, di testimonianze non riusciranno mai a fare chiarezza sul perché i brigatisti abbiano scelto di rapire Moro in quel modo cruento, dovendo assaltare una scorta armata di cinque uomini tutti condannati a morte.
Il presidente democristiano quasi ogni mattina, prima dell’inizio dei vari impegni istituzionali, aveva l’abitudine di andare a passeggiare allo stadio dei Marmi accompagnato dal solo capo scorta Oreste Leonardi, per cui rapirlo in quel contesto sarebbe stato più agevole e meno rischioso.
Le Brigate Rosse, che da un anno pianificano quel rapimento, hanno però scelto via Fani, una strada poco trafficata in una zona residenziale.
Da settimane i brigatisti effettuano sopralluoghi, studiano macchine, movimenti, posizioni.
Fino alla decisione di agire, in quella data simbolica, per precedere la nascita del governo del compromesso storico.
E infatti la sera precedente due brigatisti si recano in via Brunetti, per forare le quattro gomme del furgone di un fioraio che staziona proprio in via Fani la cui presenza sarebbe stata un intralcio per l’assalto al convoglio delle auto di Moro.
Strage di via Fani, l’agguato intorno alle 8.50
Poco dopo le 8.50 le due auto della scorta arrivano in via Fani. I brigatisti li stanno aspettando con diverse auto.
Mario Moretti, capo indiscusso della colonna romana e ideatore del piano, attende con il motore acceso con una Fiat 128: osserva una brigatista, nome di battaglia Marzia, appostata sul marciapiede, tocca a lei sventolare un mazzo di fiori per annunciare l’arrivo delle due auto.
Moretti a quel punto si immette nella carreggiata, precede le due auto fino all’incrocio di via Stresa e li frena bruscamente obbligando la Fiat 130 e l’Alfetta a fare altrettanto.
Non è chiaro se la auto si tamponino tra loro nella brusca frenata o se si tamponino durante la sparatoria per un estremo tentativo di manovra degli autisti.
Dal lato sinistro della strada, acquattati dietro le siepi del dehor del bar all’angolo, spuntano Valerio Morucci, Raffaele Fiore, Prospero Gallinari e Franco Bonisoli: indossano maglioni scuri a giro collo, sotto hanno giubbotti antiproiettile, sopra degli impermeabili azzurri a doppio petto con le insegne della compagni di bandiera dell’Alitalia.
Ognuno di loro ha una mitraglietta e una pistola, di vario modello tenute nascoste in un borsone di cuoio sempre con la scritta Alitalia.
Alle spalle delle due auto irrompe un’altra Fiat 128 con a bordo i terroristi Casimirri e Lojacono per bloccare la strada e intimidire i pochi passanti.
Dall’angolo di via Stresa spunta la terrorista Balzarani per chiudere anche l’altro lato della strada.
Nel momento in cui le auto si arrestano i quattro brigatisti, ognuno dei quali ha un obiettivo indicato da colpire, crivellano di colpi le due auto, che non sono blindate, sul lato sinistro.
Alcune armi si inceppano, ma la pioggia di fuoco non lascia comunque scampo ai cinque agenti che praticamente non reagiscono: dalla secondo vettura il solo Raffaele Iozzino riesce a uscire dallo sportello posteriore destro e a sparare due colpi prima di cadere a terra ferito mortalmente, è l’unico dei cinque che non morirà immediatamente ma solo durante il trasporto in ospedale.
I terroristi sparano dal lato sinistro eppure il caposcorta Leonardi e lo stesso Iozzino sono feriti da proiettili arrivati dal lato destro.
C’era qualcun altro a sparare?
O sono stati gli stessi brigatisti ad aggirare l’auto durante il conflitto a fuoco?
Il prelievo dell’ostaggio
Terminato il conflitto a fuoco, nel giro di meno di un minuto, è il terrorista Raffaele Fiore a recarsi per primo verso la Fiat 130: il presidente Moro è rannicchiato, quasi sdraiato, nel sedile posteriore, miracolosamente illeso.
Fiore lo afferra per il braccio sinistro e lo preleva aiutato, da Moretti sceso dalla Fiat 128, nel frattempo in retromarcia da via Stresa arriva la Fiat 132 guidata da Bruno Seghezzi, dove Moro viene caricato sul sedile posteriore e nascosto con una coperta.
Nella concitazione il terrorista Morucci raccoglie solo due delle cinque borse di Moro, la borsa con i medicinali e quella con alcuni documenti, che vengono caricate su un altra Fiat 128 sopraggiunta.
Il terroristi si sparpagliano sulla 132 e sulle due 128 e si dileguano lungo via Stresa e via Trionfale dove incroceranno delle volanti che stanno accorrendo a sirene spiegate in via Fani, dopo essere state allertate per una sparatoria.
Alle nove su via Fani cala il silenzio.
Restano 93 proiettili sull’asfalto e i cinque corpi degli agenti della scorta su un tappeto di vetri e frammenti.
La fuga con Moro e il trasbordo
Le tre auto dei brigatisti raggiungono via Massimi dove avviene il primo scambio di auto, con una Citroen Dyane, poi in via Bitossi salgono su un furgone Fiat e solo in piazza Madonna del Cenacolo, intorno alle 9,20, avviene trasbordo dell’ostaggio che viene fatto scendere da Moretti e Fiore attraverso il portello laterale del furgone e fatto rannicchiate in una cassa di legno predisposta nel furgone.
Che attraverso strade secondarie si dirige verso il parcheggio sotterraneo della Standa dei Colli Portuensi dove viene effettuato un altro trasbordo della cassa, stavolta nel capiente bagagliaio di una Citroen Ami, l’auto con lo statista verrà portato nell’appartamento prigione di via Montalcini.
Ci arriverà intorno alle 9.40, circa 45 minuti dopo l’agguato di via Fani.
Alle 10.10, da una cabina telefonica, il brigatista Morucci annuncerà all’agenzia ANSA del rapimento eseguito dalle Brigate Rosse.