Dopo la morte del bambino a Roma, travolto da un’auto lanciata a grande velocità mentre venivano girati video dell’impresa dagli youtuber “The Borderline” abbiamo chiesto alla psicologa e docente, Laura Volpini, di aiutarci a capire cosa sta succedendo.
Innanzitutto, cosa spinge i ragazzi di tutto il mondo a guardare le sfide di gruppi come i “The Borderline”?
Sappiamo come l’adolescenza sia un’età in cui la sfida è funzionale al confronto con se stessi e, quindi, i ragazzi misurano il proprio valore anche parametrandosi con altri coetanei, ma le sfide sono funzionali anche per confrontarsi con il mondo degli adulti. Il problema diventa quando le sfide sono pericolose, per situazioni in cui non vengono valutate le conseguenze.
Siamo in una società in cui ci sono pochi spazi di identità dei giovani e la rete, per l’accessibilità a chiunque, diventa un luogo fruibile a tutti.
Sappiamo che in rete ci sono dei gruppi o dei ragazzi che propongono sfide prosociali, costruttive, che riguardano anche aspetti culturali e artistici, mentre d’altra parte certamente ci sono molti gruppi che invece inneggiano al pericolo.
Qualche anno fa, durante il lockdown, su TikTok, per fare solo un esempio, addirittura una bambina di dieci anni morì strozzandosi, proprio all’interno di una di queste sfide ai limiti del rischio di vita, promossa da altri suoi coetanei bambini.
Il rischio oltre i limiti può rappresentare un fascino per coloro che li osservano. Ecco perché ci sono tanti follower degli youtuber che vengono mitizzati, con il rischio anche di emulazione.
I “The Borderline” hanno scritto che il loro scopo era quello di un “sano divertimento”; il problema è il concetto di sano che è ovviamente oggettivo: un divertimento senza limiti etici, non trovi?
Sì, intanto il concetto di sano divertimento che cosa vuol dire? Vuol dire che, probabilmente, sto ipotizzando, non era un gruppo che inneggiava, per esempio, all’uso di alcol e droga (anche se poi abbiamo visto il guidatore, il sig. Di Pietro, è risultato in realtà positivo ai cannabinoidi, che sappiamo, oggi, essere una droga non più considerate leggera, perché tagliata con anfetamina, chetamina e altre sostante psicoattive).
Diciamo intanto che il “sano divertimento” che proponeva questo gruppo era un divertimento che si riferiva a miti e valori irraggiungibili, visto che le loro sfide erano in Ferrari, con le Lamborghini o a bordo piscina. Il sano divertimento, in poche parole veniva associato al lusso.
Dall’altra parte, sì, le sfide erano anche senza limiti etici, perché il loro scopo principale, da quello che abbiamo compreso, era di tipo economico; nel 2022 hanno incassato dagli sponsor circa 200 mila euro. Quindi, certamente non è etico rischiare in qualche modo la propria sicurezza e la sicurezza degli altri, per un lucro, influenzando negativamente i propri coetanei con sfide molto pericolose.
L’assenza di parametri etici sembra venire, stando a quello che si sa fino ad ora, anche dalla loro educazione. Ma se le cose stanno così, come si fa ad insegnare un comportamento corretto? Ovvero se saltano i genitori come si fa ad intervenire?
La famiglia è un contesto educativo fondamentale, però ritengo che, in una società complessa, dobbiamo guardare anche sicuramente alla scuola e a ciò che la società offre ai giovani in chiave di sfida all’identità.
Ovviamente, il disimpegno morale mostrato, almeno da quello che è emerso dai giornali, dai genitori degli youtuber, che sembra che abbiano dichiarato “che è stata una bravata e che tutto si risolverà”, dopo che purtroppo è morto un bambino e sono state ferite altre due persone, di cui un’altra bambina, ci dà il parametro dei forti limiti di questi genitori nel responsabilizzare i loro figli.
Anzi, con queste giustificazioni, tendono ad alimentare un comportamento irresponsabile. Dall’altra parte, come dicevo prima, se non ci sono contesti di identità prosociale che, per esempio, la scuola potrebbe sviluppare (e anche le istituzioni), allora il rischio di queste derive si ripeterà. Sarebbe importante riattivare una collaborazione scuola-famiglia e incrementare le politiche sociali, per educare i ragazzi ad un uso responsabile dei social ed per educarli anche al rischio sostenibile. Ciò perché non possiamo impedire ai ragazzi di avere comportamenti a rischio, però li possiamo certamente limitare e responsabilizzare.
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