“Non c’è niente di più bello di una persona che rinasce. Quando si rialza dopo una caduta, dopo una tempesta e ritorna più forte e bella di prima. Con qualche cicatrice nel cuore sotto la pelle, ma con la voglia di stravolgere il mondo anche solo con un sorriso.” Anna Magnani
Ci sono storie che devono essere raccontate. A volte è difficile fare i conti con il dolore e riuscire ad affrontare i cambiamenti, a parlare di quello che succede e di come all’improvviso quell’equilibrio fragile costruito quasi come un labirinto, confonde e fa perdere la strada maestra.
Quanto può essere dura guardarsi allo specchio e non riconoscersi più, nascondersi sotto abiti oversize per non affrontare la realtà? A volte il dolore è forte e in qualche modo bisogna mettere a tacere tutto. Paure, ansie e inquietudini.
Irene Vella è una giornalista, madre e moglie. Una donna vulcanica ed eclettica nel senso più autentico del termine. Chi la segue sui social conosce bene la sua storia e quanto negli ultimi anni la sua vita sia cambiata. “Un chilo alla volta. Viaggio di andata e ritorno dalla prigione dell’obesità” l’ultimo libro pubblicato per la casa editrice Feltrinelli con la prefazione della giornalista Giovanna Botteri, parla della sua storia, del suo dolore e di come è riuscita a rinascere.
Irene Vella ha infatti dovuto fare i conti con un corpo che non sentiva più suo, con il dolore che piano piano le mangiava ogni ora e minuto del suo tempo. La malattia del marito, la paura e l’obesità che palesandosi ha divorato e nascosto anche le lacrime. Quarantadue chili di peso sull’anima e una società grassofobica che non riconosce una persona in sovrappeso o curvy. Etichette imposte contro un’idea di body positivity che in realtà non esiste, a partire dalle vetrine dei negozi fino ai discorsi sul come e perché perdere peso.
Una presa di consapevolezza che ha portato la giornalista, anche attraverso i social, ad intraprendere un percorso di fuoriuscita da questa trappola, un intervento di sleeve gastrectomy e la riconquista del suo peso forma.
Quando ha pensato di scrivere questo libro e raccontare di questo suo viaggio di consapevolezza?
“L’episodio che ha dato vita a tutto ciò è nato quasi per caso. Avevo subito l’operazione da qualche mese e durante un incontro di lavoro, concordato tra l’altro per un’intervista da proporre ad un’attrice, la mia amica e collega mi chiese “Irene, perché non parli della tua storia, magari pensando ad un libro? Sai, potrebbe essere di aiuto“. Sinceramente all’inizio non mi sembrava una cosa così rilevante in realtà ci ho poi ripensato, quello che poteva interessare della mia storia non era tanto come fossi riuscita a perdere i chili di troppo, ma quanto questi erano sull’anima e non mi permettevano di vivere. Una volta abbandonati, la mia vita si è trasformata. Non si parla quasi mai del fatto che basta dimagrire, a volte dietro c’è un disagio e in alcuni casi un problema di salute, perché l’obesità è una malattia. E per me, affrontare un intervento di sleeve gastrectomy non è stata una cosa semplice, una decisione facile. E quindi ho buttato giù i primi capitoli, la gestazione è stata molto complesse. Ed eccoci qui.”
Quanto coraggio, paura e fragilità si ritrovano nella sua storia? E come le ha affrontate?
“Sono una persona molto centrata nel senso che, quando prendo una decisione, non torno indietro. La paura non fa parte del mio carattere, magari due secondi prima di entrare in sala operatoria si, ma credo sia normale. All’inizio anche mio marito non era d’accordo, non aveva capito quanto e come era nato questo dolore che mi portava a mangiare e che mi stava divorando, ovviamente ha poi capito che per me era troppo importante fare questo passo. Non mi riconoscevo, non mi guardavo allo specchio. Era diventata davvero una situazione insostenibile. In quello specchio vedevo riflesso tutto ciò che non riconoscevo. Il mio corpo non era lo stesso.”
La storia di Irene Vella è legata anche a quella di suo marito Luigi Pagana.
E’ vero che lei è stata la prima donatrice italiana di rene ad aver avuto un figlio dopo il trapianto e soprattutto ad aver portato avanti una battaglia contro una legge che non dava garanzie si familiari dei trapiantati?
“Si. In realtà all’epoca c’era la legge n. 458 del 1967, alla quale mancava il regolamento attuativo. Perché i donatori di organi non erano equiparati ai riceventi e io, quando ho donato il rene a Luigi, ho dovuto prendere 30 giorni di ferie per tutto il percorso perché in Italia vi era un vuoto legislativo che lasciava senza tutela chi decideva di donare un organo ad un familiare. Ho dovuto combattere per questo, adesso è finalmente possibile assistere i propri familiari senza problemi. All’epoca non era così facile.”
Oggi chi è Irene Vella e cosa vorrebbe dire a chi legge o si avvicina alla sua storia?
“Di essere sé stesse. Sui social sono seguita perché racconto la vita vera, senza filtri. Come consiglio che viene dal cuore c’è quello di non aver paura di essere fragili, di piangere. C’è differenza tra essere deboli e fragili e se una persona si trova in una situazione di estrema e profonda fragilità, legata a situazioni che la rendono infelice, nessuno si salva da solo. E qualunque sia il suo problema, bisogna chiedere aiuto. Ad ogni problema corrisponde una soluzione. Spesso da soli non si riesce. Bisogna chiedere aiuto perché non c’è nulla di sbagliato in questo.”