La Cassazione ha punito con il reato di usurpazione un addetto alla vigilanza privata che ha perquisito dei ragazzi sospettati di furto
Gli addetti alla vigilanza privata non possono fare perquisizioni, poiché questo compito spetta esclusivamente alle autorità di pubblica sicurezza. È quanto emerso di recente dalla Cassazione con la sentenza n. 14054. Nel caso di specie, un addetto alla vigilanza privata della Decathlon è stato punito con il reato di usurpazione, previsto dall’articolo 347 del Codice penale, per aver perquisito dei ragazzi sospettati di furto. Sono stati quest’ultimi infatti a denunciare il vigilantes, reo di averli addirittura condotti nella toilette del negozio e di averli fatti spogliare per perquisirli.
Il Tribunale, informato dei fatti, aveva imputato all’uomo il reato di violenza privata, definitivamente derubricato in usurpazione di una funzione pubblica dalla Corte d’Appello. Il vigilantes si è rivolto quindi alla Corte Suprema per contestare le decisioni emesse nei primi due gradi. Tuttavia, la Cassazione ha rigettato il ricorso; gli ermellini hanno confermato il reato di usurpazione per la gravità dei fatti e in particolare “per le modalità odiose e prevaricatrici della condotta”.
La Cassazione ha ricordato inoltre che il compito di perquisire un individuo spetta esclusivamente alle autorità di pubblica sicurezza. Gli addetti alla vigilanza devono limitarsi a controllare gli ingressi degli esercizi commerciali, con l’unica possibilità di bloccare chi non è munito di regolare scontrino. Un addetto alla vigilanza non può fermare o arrestare una persona, tantomeno utilizzare mezzi coercitivi. Qualora si dovesse verificare un illecito, come ad esempio un furto, il vigilantes deve informare e sollecitare l’intervento dell’autorità pubblica. L’impiego della forza è lecito soltanto in caso di legittima difesa o di arresto in flagranza di reato per un delitto perseguibile d’ufficio.