Secondo Save the Children, la violenza ostetrica riguarda tutta una serie di comportamenti che hanno a che fare con la salute riproduttiva e sessuale delle donne, come l’eccesso di interventi medici, la prestazione di cure e farmaci senza consenso, o la mancanza di rispetto per il corpo femminile e per la libertà di scelta su di esso.
Negli ultimi giorni si è tornati a parlare di violenza ostetrica e dell’importanza di stare al fianco della neomamma dopo il lieto evento. È un argomento delicato e complesso. La gravidanza è un’esperienza immersiva e a volte è difficile parlarne e trovare il modo per affrontare le conseguenze di un parto non semplicissimo e di un evento che sebbene importante, se non vissuto serenamente può portare conseguenze a lungo termine.
Come si può aiutare una neomamma nel periodo del post partum? Ho provato a parlarne con la Dottoressa Alessandra Bellasio ostetrica e mamma, creatrice digitale e founder della piattaforma italiana per la maternità unimamma.it., cercando di approfondire con tutta la delicatezza e attenzione che il tema impone, criticità e dubbi in merito.
Dottoressa Bellasio proviamo a definire e circoscrivere cosa si intende con il termine Violenza Ostetrica. Possiamo definirla una concezione culturale ormai cronicizzata?
Per rendere il mio intervento il più possibile onesto, chiaro e sincero, vorrei iniziare con una premessa. In questi giorni si è parlato tanto di violenza ostetrica, ho riflettuto molto sull’argomento e mi preme fare una precisazione da professionista e da donna: nel momento in cui si chiede ad un operatore sanitario che cosa sia la violenza ostetrica, capita che faccia un passo indietro, quasi impaurito e con la tendenza ad ignorare volte il tema. In passato è successo anche a me e credo sia una forma di difesa.
Detto questo, parliamo di un fenomeno che esiste e include atti e gesti che vanno a ledere la donna durante la gravidanza e il parto prima e dopo, con atteggiamenti che rappresentano mancanza di rispetto e anche di tatto quando si vanno ad esercitare pratiche che dovrebbero permettere una facilitazione del parto, che a volte sono molto forti.
Il termine, di natura puramente anglosassone, in italiano viene tradotto violenza ostetrica sebbene il significato letterale sarebbe violenza dell’ostetricia, una cosa un po’ diversa. Quindi a livello semantico il termine è molto forte e rappresenta una professionalità specifica, sembra quasi un ossimoro: violenza identifica un qualcosa di forte e negativo e ostetrica rappresenta invece una figura di cura, empatica e di accoglienza. Magari la donna non è informata o non sa cosa può succedere durante il parto e diventa il “soggetto” dalla quale uscirà il bambino. C’è anche l’abbandono, la solitudine, la paura e il non sentirsi sempre pronte.
Il parto dovrebbe essere l’esperienza più bella per una donna ma a volte non è così. E come fare con l’insorgenza di sintomatologie connesse al trauma dell’evento?
Sappiamo che eventi traumatici e situazioni particolarmente pesanti causate da un parto difficile, possono aumentare il rischio del post partum, un disturbo vero e proprio che colpisce dal 5 al 15% delle donne coinvolte, sebbene le statistiche indichino questa particolarità entro l’anno di vita del bambino.
A volte però può subentrare anche dopo un anno dal parto e parliamo sempre di un disturbo depressivo, così come esiste il disturbo post traumatico da parto, situazione in cui la donna fatica e non riesce a familiarizzare con il bambino proprio perché ha subito un trauma nel momento del parto.
In che modo si potrebbe aiutare la neo mamma nel post parto?
La presenza del partner è importante. Durante il periodo Covid questo non era possibile, oggi non è più così. La questione però va individuata negli anni precedenti al Covid. Questo perché nel 2016 è stata elogiata una campagna social “Le mamme hanno voce” che ha permesso alle storie delle partorienti di venire alla luce. È anche vero che prima dell’epidemia si focalizzava di più l’attenzione sul parto, oggi invece ci stiamo spostando sul post parto e su tutto ciò che ne consegue.
Vi è una maggiore sensibilità sull’argomento e bisognerebbe non arrivare ad una strutturazione e normalizzazione delle attività medicali, che invece sembra essere diventata norma. La donna ha bisogno di sentirsi accolta e compresa. Questo può essere risolto solo con la formazione specializzata e settoriale. Due mondi, quello delle mamme e quello degli operatori vissuti da una prospettiva diversa. Ecco, forse bisognerebbe capire questo, si guarda la stessa cosa con proiezione e punti di vista differenti.
Sul suo profilo IG sta sperimentando una iniziativa “Diamo voce alle mamme”. Le va di parlarne?
Fine gennaio, dopo il caso di cronaca che ha scosso l’opinione pubblica, ho portato avanti questa idea. L’oggetto della ricerca riguarda proprio la violenza ostetrica vista e vissuta da entrambe le parti: operatori e mamme.
Più che altro mi sono resa conto dei tanti commenti e voci contrastanti sulla situazione, anche alla luce di una prima iniziativa legislativa sul tema nel 2016 –Norme per la tutela dei diritti della partoriente e del neonato e per la promozione del parto fisiologico– che però non ha portato grandi frutti, bisogna dialogare con le parti coinvolte: considerare le donne ma anche i diritti dei sanitari. Una legge che norma una violenza ostetrica, può essere una ghigliottina per chi lavora nel settore. Dobbiamo comprendere il problema e poi, eventualmente, strutturare una legge.
In riferimento al questionario, vi è una differenziazione tra nord e sud?
Sicuramente alcune Regioni vedono un’incidenza maggiore nella classifica con una miglior percezione del parto e assistenza post parto, ad esempio la Calabria in questa graduatoria è ultima. Mentre le mamme hanno risposto al questionario al questionario in circa 12mila ed è un ottimo dato.
D’altro canto gli operatori del settore non hanno reagito con molto entusiasmo. Manca una visione di insieme per tenere in considerazione il tutto. Attenzione alla nascita e attenzione alla madre. Sappiamo che una separazione precoce e iniziale madre-figlio, può portare anche a traumi profondi.